Secondo gli inquirenti l'uomo sarebbe stato incaricato negli anni da Danilo Abbruciati, uno dei boss dell'organizzazione criminale, detto "er Camaleonte", di svolgere il ruolo di trait d'union tra il sodalizio e il mondo economico-finanziario della Capitale, e di curare le relazioni con gli esponenti di Cosa Nostra. Assolto dalla Corte d'Assise di Roma nel processo del 1996, adesso la procura generale "riconosce i legami con la criminalità organizzata di stampo mafioso, sia romana che siciliana (Cosa nostra)"
Un appartamento di 14 stanze con vista Fontana di Trevi, un complesso turistico sul lungomare di Ostia e numerose auto e opere d’arte, nonché società e conti bancari. In totale beni per 25 milioni di euro. Questo il patrimonio che la guardia di Finanza sta confiscando a Ernesto Diotallevi, accusato di essere un esponente della Banda della Magliana, ma assolto dalla Corte d’Assise di Roma nel processo del 1996.
Secondo gli inquirenti, Diotallevi sarebbe stato incaricato negli anni da Danilo Abbruciati, uno dei capi dell’organizzazione criminale, detto “er Camaleonte”, da un lato di svolgere il ruolo di trait d’union tra il sodalizio e il mondo economico-finanziario della Capitale, e dall’altro di curare le relazioni con gli esponenti di Cosa nostra. In particolare secondo gli investigatori Diotallevi avrebbe tenuto i rapporti con il boss palermitano Pippo Calò, capo mandamento di Porta Nuova e ritenuto tesoriere della mafia, a Roma sotto falso nome.
“La Corte d’Appello riconosce i legami con la criminalità organizzata di stampo mafioso, sia romana che siciliana (Cosa nostra) e consente l’acquisizione di un rilevante patrimonio, tra cui un immobile di pregio a Fontana di Trevi, società, stabilimenti balneari”, scrive in una nota il procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi. “Il pubblico ministero – si legge ancora nella nota – è stato rappresentato da un gruppo di lavoro congiunto della procura generale e della Procura di Roma”.
L’operazione arriva al termine di alcune indagini patrimoniali degli specialisti del Gruppo investigazione criminalità organizzata del Nucleo di polizia economico-finanziaria su delega della Direzione distrettuale antimafia capitolina, che hanno consentito di documentare come “Diotallevi, sebbene assolto dalla Corte d’Assise di Roma, nel 1996, nell’ambito del noto ‘processo alla banda della Maglianà, nonché da plurime accuse di omicidio (tra le altre quella per la morte del banchiere Roberto Calvi), fosse riuscito ad accumulare ingenti fortune, nonostante l’assoluta carenza di fonti di reddito lecite, talora riconducendo la formale titolarità dei beni a compiacenti ‘prestanome”.
“La confisca – scrivono le fiamme gialle – giunge al termine di un lungo e complesso iter che ha portato la posizione di Diotallevi al vaglio di tutti i gradi di giudizio sino alla Corte di Cassazione la quale, a gennaio 2018, ha annullato il decreto con cui la Corte di Appello, a maggio 2017, aveva disposto, in riforma della decisione del Tribunale risalente a gennaio 2015, la revoca parziale della misura di confisca”.
Nello specifico tra i beni confiscati ci sono le quote societarie, il capitale sociale e il patrimonio aziendale di 8 società, impegnate in diverse attività: dalla compravendita di immobili, al settore delle imbarcazioni, fino al commercio dell’energia elettrica e i trasporti marittimi. Tra queste anche alcune holding, di cui una della Libera, titolare di una lussuosa villa sull’Isola di Cavallo in Corsica. Sequestrati anche alcuni veicoli, depositi bancari e polizze vita, nonché numerose opere d’arte. Infine Diotallevi risultava proprietario, direttamente o indirettamente, anche di 43 immobili, distribuiti tra Roma, Gradara, borgo in provincia di Pesaro Urbino, e Olbia. Tra le case anche, appunto, un appartamento di prestigio con affaccio sulla più grande fontana della Capitale del valore di mercato di 4 milioni di euro, e una serie di villette a schiera fronte mare nel X° Municipio.