L’indagine sul depistaggio entra per la prima volta a far parte del dibattimento sulla morte di Stefano Cucchi. A processo cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale, è stato sentito il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, comandante della Stazione Tor Sapienza. Il militare è uno degli indagati in quella che è definita l’inchiesta ter sulla vicenda, e per questo è stato assistito dall’avvocato Antonio Buttazzo: ha però risposto alle domande. Confermando che le annotazioni sulle condizioni di Cucchi nella notte del suo arresto furono modificate: morì una settimana dopo nell’ottobre 2009.

La vicenda è stata oggi ricostruita temporalmente e cronologicamente. “Io non ho mai visto Cucchi – ha detto Colombo Labriola -. Solo la mattina del 16 ottobre 2009 ho appreso che nella notte i carabinieri della Stazione Appia avevano portato nelle nostre camere di sicurezza un detenuto, e che durante la notte non si era sentito bene, tanto che era stato chiamato il 118“. Il luogotenente non sentì parlare più del giovane, fino al 26 ottobre 2009. “Mi telefonò il maggiore Soligo (comandante la Compagnia Montesacro) che mi invitò a raggiungerlo. Nel suo ufficio mi disse che Cucchi era morto, la procura aveva aperto un’inchiesta e che i militari in servizio quella notte avrebbero dovuto fare un’annotazione di servizio per indicare il loro ruolo”.

Di lì, l’escalation che è poi approdata alla ‘modifica”delle annotazioni. “Il 30 ottobre 2009 – ha detto Colombo Labriola – era in programma la visita quadrimestrale del comandante della Compagnia. Quella mattina il maggiore Soligo mi contattò dicendo che le annotazioni redatte dai carabinieri Colicchio e Di Sano non andavano bene perché il contenuto era ridondante, erano estremamente particolareggiate e nelle stesse si esprimevano valutazioni medico-legali con non competevano a loro”. I due carabinieri furono ascoltati dal maggiore Soligo: i file furono trasmessi al tenente colonnello Francesco Cavallo (all’epoca Capo Ufficio Comando del Gruppo Roma) e poi ritornarono indietro con testo cambiato e la scritta “meglio così”.  Nell’allegato c’erano le due annotazioni modificate che dovevano sostituire quelle precedenti”.

La mattina del 30 ottobre del 2009, quando la morte di Cucchi era diventato un caso mediatico ed erano partire le indagini della procura, ci fu una riunione nella sede del Comando provinciale di Roma, in piazza San Lorenzo in Lucina, alla presenza del generale Vittorio Tomasone e del colonnello Alessandro Casarsa, all’epoca a capo del Gruppo Roma ora in servizio al Quirinale, con tutti i militari in qualche modo coinvolti nella vicenda. “Per come si svolse, mi sembrò una riunione di alcolisti anonimi”, ha detto Colombo davanti ai giudici della Corte d’Assise nel processo che vede imputati 5 carabinieri. “L’incontro, non ufficiale, durò meno di un’ora – ha ricordato Colombo – e nulla fu verbalizzato. Tomasone disse ‘bravo’ a Colicchio che chiamò il 118 quando vide che Cucchi, portato in cella di sicurezza, non stava bene mentre rimproverò Mandolini (Roberto, imputato per falso e calunnia ndr) che era intervenuto un paio di volte per supportare un suo collega che non era stato capace di spiegare con chiarezza il suo ruolo nella vicenda. Tomasone zittì Mandolini dicendogli che il carabiniere doveva esprimersi con le sue parole perché se non fosse stato in grado di spiegarsi con un superiore certamente non si sarebbe spiegato neanche con un magistrato. In quella sede non si parlò della doppia annotazione”.

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