di Riccardo Cristiano*
Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvava la Dichiarazione universale dei diritti umani, con 48 voti favorevoli e otto astensioni: Unione Sovietica, Ucraina, Bielorussia, Polonia, Yugoslavia, Cecoslovacchia (il blocco sovietico), Sudafrica e Arabia Saudita. Honduras e Yemen non parteciparono al voto. Pur nell’asprezza del confronto tra il campo “occidentale” e quello “socialista”, veniva così colmato il vuoto relativo al passaggio dell’articolo 1 della carta costituiva delle Nazioni Unite, approvata per acclamazione il 26 giugno del 1945, che proclama tra le finalità dell’organizzazione quella di “promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione”.
Appena un decennio prima, il 15 settembre del 1935, nella Germania nazista erano state promulgate le cosiddette leggi di Norimberga. La prima, la “legge per la cittadinanza del Reich”, stabiliva l’esistenza di due gradi di cittadinanza. Soltanto chi avesse sangue tedesco era considerato “cittadino del Reich“, quindi titolato a beneficiare dei pieni diritti civili e politici. La seconda, la “legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”, proibiva il matrimonio tra ebrei e non ebrei e sottoponeva i trasgressori a pene severissime. Erano vietati pure i rapporti extraconiugali, sanzionati però con pene meno gravi.
L’analisi della politica fascista negli anni Trenta compiuta recentemente dal professor Andrea Riccardi – che riguardo alla legislazione italiana del tempo lamenta che ancora oggi venga definita “razziale” e non razzista – ne ha consentito una migliora lettura, illuminando anche altre pagine di storia italiana non sufficientemente note, relative in particolare alla guerra d’Etiopia. Nel 1937, quando si abbatté durissima la repressione ad Addis Abeba per l’attentato al viceré Rodolfo Graziani (circa 19mila uccisi), un vero pogrom contro gli etiopi, non ci furono reazioni negative. In realtà, dalla guerra di Etiopia, anche per la propaganda fascista e la forte presenza del partito, si ebbe una crescita di aggressività nell’attitudine degli italiani, specie in Africa. Un caso è impressionante: la strage nel più grande e sacro monastero etiope, Debra Libanos, a non molti chilometri da Addis Abeba.
Ha scritto Angelo Del Boca: “Mai nella storia dell’Africa una comunità religiosa aveva subito uno sterminio di tali proporzioni. Furono uccise dalle truppe coloniali italiane – soprattutto di origine musulmana – ben 2mila persone tra monaci, novizi, diaconi, pellegrini, disabili, sotto la guida del generale Pietro Maletti e per ordine di Graziani, che se ne assunse la responsabilità, con una tecnica che ricorda le stragi naziste degli ebrei nell’Est Europa. I monaci e i cristiani etiopi non erano considerati cristiani, tanto da non meritare commenti dei missionari in loco né indignazione altrove. Una resistenza a ricordare il massacro si è palesata anche per gli 80 anni, nel 2017, quando il ministero della Difesa fece cadere la proposta di una ricerca storica. Il tipico processo di disumanizzazione del nemico, operata non solo dall’assenza di senso ecumenico dei cristiani, ma dalla propaganda fascista che in quegli anni raggiunge un apice di violenza”. Si capisce meglio così la coerenza tra questo fascismo e quello che Benito Mussolini espresse dicendo nel 1938 a Galeazzo Ciano: “Basterebbe un mio cenno per scatenare tutto l’anticlericalismo di questo popolo, il quale ha dovuto faticare non poco a ingurgitare un Dio ebreo”.
Il 15 luglio del 1938 venne così pubblicato il manifesto della razza, firmato da Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco ed Edoardo Zavattari. Nomi rimasti a lungo nell’ombra e riemersi per la prima volta nel 2005, quando è stato pubblicato il saggio I dieci, di Franco Cuomo. Un libro che ha posto problematiche importanti: quella che l’autore definisce “l’intoccabilità dei dieci professori, in prevalenza medici, che non vennero rimossi dalle cattedre universitarie alla caduta del fascismo” e molto altro.
Il cammino verso la Dichiarazione universale dei Diritti Umani registrò una tappa fondamentale il 6 gennaio del 1941, quando il presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, nel suo annuale discorso sulla stato dell’Unione, esplicitò per la prima volta la famosa teoria della quattro libertà fondamentali: libertà di espressione, libertà religiosa, diritto a un tenore di vita sufficiente, libertà dalla paura. Questi quattro punti costituiscono ancora oggi un riferimento tra i più importanti per sintetizzare una visione che la Dichiarazione elabora in 30 articoli, di cui oggi può servire ricordare alcuni passaggi.
Nel primo articolo si afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Articolo 2: “ A ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. […]” Articolo 4: “Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.” Articolo 5: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.” Articolo 9: “Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.” Articolo 13: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese.” Articolo 14: “1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. 2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.” Articolo 25, punto 2: “La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure e assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.” Articolo 30: “Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati”.
Uno dei punti più importanti che la rilettura del passato offre all’oggi è quello di comprendere il pericolo insito nella nazionalizzazione della religione. Soffermarsi anche sul ruolo svolto dalla Chiesa nel 1938 aiuta a capire problematiche di estrema attualità. Al citato convegno della Società Dante Alighieri, il professor Andrea Riccardi ne ha parlato così: “Se il cristianesimo si nazionalizza, staccandosi dalle radici semitiche e orientali, diventa un’altra cosa. È quanto vuole il nazismo con i cristiani tedeschi, con il Gesù ariano”.
* Vaticanista di Reset