I giornalisti hanno occupato la redazione per manifestare il proprio dissenso nei confronti della decisione comunicata ai rappresentanti sindacali. Padre Zamegno: "Dal 2013 al 2017 perdite per 10 milioni di euro". Così il Messaggero antoniano chiude i battenti dopo aver ospitato firme con Enzo Biagi, Goffredo Fofi ed essere stato un presidio antifascista durante la Seconda guerra mondiale
“Sant’Antonio, che riusciva a parlare al cuore degli uomini, sarebbe probabilmente triste come siamo noi per come si sviluppano le cose di questo mondo. Ma purtroppo abbiamo dovuto prendere questa decisione”. Padre Giancarlo Zamengo è direttore generale del gruppo editoriale che ruota attorno alla basilica del Santo a Padova che ha annunciato la chiusura della redazione (8 giornalisti) dei mensili Messaggero di Sant’Antonio e Messaggero dei Ragazzi. Annuncio inatteso, anche perché i due periodici sono diffusi in 148 Paesi e sono tradotti in cinque lingue (anche in tedesco, rumeno e polacco, oltre che in francese e in inglese). In particolare, il Messaggero, come rivista per la famiglia, è stato fondato nel 1898 con il compito di diffondere il pensiero francescano nel mondo.
I giornalisti hanno occupato la redazione per manifestare il proprio dissenso nei confronti della decisione (comunicata ai rappresentanti sindacali) che l’editore definisce giustificata e inevitabile. “Il motivo è strettamente economico – spiega padre Zamengo – Noi siamo chiamati a far sì che la nostra Opera non crolli, ma ci troviamo di fronte a perdite consistenti e progressive. Il bilancio 2017 si è chiuso con una perdita d’esercizio pari a 2 milioni 725mila euro. Le perdite di esercizio nell’ultimo quinquennio, dal 2013 al 2017, ammontano a circa 10 milioni di euro”. Un tempo Sant’Antonio faceva i miracoli, ma i numeri sono spietati. Eppure rimane il paradosso di una delle riviste più lette in Italia e al mondo (negli anni ’60 aveva un milione di abbonati) che non riesce a sostenersi sotto il profilo economico. Ufficialmente gli abbonamenti sono quasi 300mila, di cui 25 mila all’estero, con introiti per 10 milioni all’anno.
“Quei numeri si sono ridotti gradualmente – avverte il direttore generale – Abbiamo risentito anche noi della crisi generale dell’editoria e dell’editoria cattolica in particolare. Abbiamo registrato la diminuzione del 25 per cento degli abbonati al Messaggero di Sant’Antonio, del 34 per cento degli abbonati al Messaggero dei Ragazzi, nonché la diminuzione del 14 per cento delle vendite librarie. La raccolta pubblicitaria si è ridotta del 22 per cento”. Conclusione: “Era diventato sempre più difficile tenere in piedi un’opera come questa”. La decisione è stata presa dopo un anno di stato di crisi, dichiarato e certificato dal ministero del Lavoro, con contratti di solidarietà per i giornalisti. “Le decisioni verranno prese non appena chiuderemo l’esercizio 2018 in cui si profilano ulteriori perdite per 500mila euro – aggiunge padre Zamenghi – Capiamo lo stato d’animo dei giornalisti, e si può immaginare anche quale sia il nostro stato d’animo in una situazione del genere. Ma non è ancora stato deciso niente per quanto riguarda la tempistica. Tutto è rimandato al tavolo di lavoro con la Federazione della Stampa”.
Eppure qualche spiraglio potrebbe esserci, anche se di certo la redazione chiuderà. “Le pubblicazioni continueranno, in quale modo lo vedremo”, assicura padre Zamenghi. Sulle pagine del Messaggero antoniano hanno trovato spazio firme di primo piano, come quelle di Enzo Biagi, Igor Man, padre Giulio Albanese, Ritanna Armeni, Goffredo Fofi e Michela Murgia. Il giornale ha costituito anche un presidio antifascista e di resistenza. Durante la Seconda guerra mondiale l’allora direttore Placido Cortese venne prelevato dalla Gestapo sul sagrato della Basilica del Santo l’8 ottobre 1944. Assieme ai docenti universitari Ezio Franceschini e Concetto Marchesi, aveva organizzato la fuga di decine di ebrei ricercati dal regime nazifascista. Di padre Cortese non si seppe più nulla.
Dura la posizione della Federazione della Stampa contro “la condotta adottata dalla controparte – nella fattispecie la direzione dei frati – che senza scrupolo alcuno ha tolto dal tavolo della trattativa, convocato per fare il punto sul contratto di solidarietà attivato da un anno, qualsiasi margine di trattativa. Una decisione intollerabile nei modi e nel merito a fronte di violazioni contrattuali, fra cui il rifiuto di esibire il bilancio”. Secondo il sindacato dei giornalisti, “le perdite economiche, sempre comunicate a voce e senza mai un’analisi puntuale di costi e ricavi, non possono giustificare un tale atteggiamento che fa strame della dignità ancor prima umana che professionale dei lavoratori. I frati non possono pensare di chiudere la redazione, licenziare i giornalisti e continuare a pubblicare la rivista cattolica forse più famosa al mondo”.