Il fatto è avvenuto la scorsa notte nel quartiere Aranciata Faito, considerato roccaforte del clan D'Alessandro, dopo che il sodalizio camorristico la scorsa settimana è stato azzerato con l'arresto dei reggenti
La camorra di Castellammare di Stabia (Napoli) mostra di non gradire i recenti blitz della polizia e lancia il suo messaggio minaccioso. “Così devono morire i pentiti, abbruciati”. Il telo bianco va in fiamme insieme a un manichino e ad una catasta di legno. La scritta si trovava su uno striscione affisso ad una delle pire dei falò dell’Immacolata Concezione, tradizione secolare di questo territorio a poca distanza da Napoli. Il fuoco è divampato nella notte nel quartiere Aranciata Faito, la roccaforte del clan D’Alessandro. Le persone si sono radunate davanti alle palazzine per applaudire. Sono i luoghi degli amici e dei fiancheggiatori del clan. Qui si spaccia droga e si gestiscono i cavalli di ritorno. Hanno esploso i fuochi d’artificio, in barba alle ordinanze di divieto. Era festa. Si rideva intorno a quel messaggio sui “pentiti da bruciare”.
Accade tutto tre giorni dopo gli arresti della Dda di Napoli – pm Giuseppe Cimmarotta, indagini della Mobile di Napoli e del commissariato di Ps di Castellammare di Stabia – che hanno decapitato i vertici dei quattro clan operanti tra l’area stabiese e i Monti Lattari. Tra gli arrestati Adolfo Greco, il potentissimo e ricchissimo imprenditore locale monopolista del commercio del latte, una galassia di società nel settore turistico e dei servizi, che l’inchiesta ha ritratto come una sorta di “ufficiale di collegamento” tra la camorra e le vittime del racket che, a suo dire, andavano vessate “piano piano”. Greco, che nel 1981 fu uno dei protagonisti della trattativa Stato-camorra-Brigate Rosse per la liberazione dell’assessore campano gavianeo Ciro Cirillo, è stato incastrato dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali dopo che due pentiti del clan D’Alessandro, Renato Cavaliere e Salvatore Belviso (due dei killer del consigliere comunale Pd Gino Tommasino, ucciso per strada nel 2009), lo avevano indicato come ‘contiguo’ alle cosche.
A commentare il fatto sui social è il consigliere dell’opposizione Tonino Scala. “Bruciamo l’indifferenza e la cultura camorristica. Castellammare prenda le distanze”, ha scritto il rappresentante di Sinistra italiana nel lungo post, sottolineando di non voler nemmeno pensare che il gesto “possa essere collegato all’inchiesta giudiziaria di questi giorni”. Ma è impossibile non farlo.
Il sindaco, Gaetano Cimmino (Forza Italia), è indignato. “Rispettare le tradizioni non significa inneggiare alla violenza e alla criminalità organizzata. Tutto ciò è intollerabile – scrive in una nota – Pochi imbecilli non possono certo rovinare l’immagine di una festa di tutta la città. L’immagine del manichino sulla catasta è terribile ed il suo significato mette i brividi. Rabbrividisco e inorridisco non solo davanti agli autori di quel gesto frutto di una mentalità retrograda, vile, ignorante, da annientare con ogni mezzo a nostra disposizione, ma soprattutto davanti a quei cittadini che sono rimasti immobili”.
In Municipio siede un assessore alla Legalità famoso in tutt’Italia, il maggiore dei carabinieri del Noe Gianpaolo Scafarto, l’ex investigatore del caso Consip. Forse è la prima volta che parla da assessore dopo i giorni della nomina e le sue parole sono durissime. “E’ stata una circostanza schifosa”. Il maggiore chiede di creare un fronte bipartisan contro i clan: “Bisogna confrontarsi anche con le opposizioni per portare la lotta direttamente al cuore del nemico, che è la camorra”. Scafarto infine sollecita la convocazione alla Prefettura di Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e lancia un appello ai cittadini onesti a rivolgersi direttamente a lui “per individuare i responsabili e consegnarli alla giustizia. Da lunedì sarò presente tutti i giorni presso il Circolo della Legalità per sostenere e supportare i cittadini che intendono denunciare atti illeciti e confrontarsi con me”.