In occasione del 70° anniversario della dichiarazione dei diritti dell'uomo, l'organizzazione pubblica il suo rapporto sulla situazione mondiale: Italia criticata per il dl sicurezza e gli sgomberi forzati. A livello globale, domina il tema della parità di genere. Protagonisti, dalla America Latina all'Asia e agli Stati uniti i movimenti per i diritti delle donne
“Gestione repressiva del fenomeno migratorio”, “erosione dei diritti umani dei richiedenti asilo”, “retorica xenofoba nella politica”, “sgomberi forzati senza alternative”. Sono alcuni dei passaggi dedicati all’Italia nel rapporto “La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019”, pubblicato da Amnesty International in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Il governo Conte, sostiene la ong, “si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio”, in cui “le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio marittimo”. Parlando del Dl sicurezza, Amnesty afferma che contiene misure che “erodono gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e avranno l’effetto di fare aumentare il numero di persone in stato di irregolarità presenti in Italia”. Amnesty International Italia segnala inoltre il “massiccio ricorso” da parte di alcuni candidati e partiti politici a “stereotipi e linguaggio razzista e xenofobo per veicolare sentimenti populisti, identitari nel corso della campagna elettorale” di quest’anno.
Nel 2018 gli sgomberi forzati “sono continuati”, colpendo soprattutto famiglie rom e gruppi di rifugiati e migranti, “senza l’offerta di alternative abitative adeguate da parte delle autorità”. La “linea dura” dettata dal nuovo esecutivo sugli sgomberi “rischia di fare aumentare nel 2019 il numero di persone e famiglie lasciate senza tetto e senza sistemazioni alternative”. A settembre è partita la sperimentazione sulle pistole a impulsi elettrici (Taser) in dotazione alle forze di polizia, per le quali l’organizzazione ha espresso preoccupazione sui rischi per la salute”.
Guardando all’Europa, il 2018 è stato caratterizzato “dall’aumento dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile” e in cui “richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati”. A guidare questa tendenza sono stati “Ungheria, Polonia e Russia mentre nel più ampio contesto regionale in stati come Bielorussia, Azerbaigian e Tagikistan vi sono stati nuovi giri di vite nei confronti della libertà d’espressione e in Turchia ha proseguito a espandersi un clima di paura”.
Tuttavia, Amnesty sottolinea che in Europa “l’ottimismo è rimasto invariato e sono cresciuti attivismo e proteste: un coro di persone ordinarie dotate di una passione straordinaria chiede giustizia e uguaglianza”. Il 2018 è stato, del resto, “un anno di fiere battaglie per i diritti delle donne contro le politiche oppressive e sessiste”, nel quale “attiviste di ogni parte del mondo sono state in prima linea nella battaglia per i diritti umani”, nonostante “l’azione di leader che si definiscono “duri” che promuovono politiche misogine, xenofobe e omofobe ha messo in pericolo libertà e diritti conquistati tempo addietro”.
“Nel 2018 abbiamo visto molti di questi autoproclamati leader mettere a rischio il principio di uguaglianza”, ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International. “Loro pensano che le loro politiche li rendano ‘tosti’ ma si tratta di poco più che tattiche da bulli che cercano di demonizzare e perseguitare comunità già marginalizzate e vulnerabili”.
Il volume riporta il lavoro di gruppi come Ni una menos che in America Latina hanno dato vita a movimenti di massa sui diritti delle donne con dimensioni mai viste in passato. In India e Sudafrica migliaia di donne sono scese in strada per protestare contro l’endemica violenza sessuale. In Arabia Saudita le attiviste hanno rischiato di finire in carcere per aver sfidato il divieto di guida, in Iran per aver protestato contro l’obbligo d’indossare il velo. In Argentina, Irlanda e Polonia manifestazioni hanno chiesto la fine delle opprimenti leggi sull’aborto. Negli Usa, in Europa e in parti dell’Asia in milioni hanno preso parte alla seconda manifestazione #MeToo per dire basta alla misoginia e alla violenza.
L’analisi di Amnesty International punta il dito su un crescente numero di politiche e legislazioni che finalizzate a controllare le donne, soprattutto nella sfera dei diritti sessuali e riproduttivi. In Polonia e in Guatemala sono state fatte proposte per rendere ancora più rigide le leggi sull’aborto mentre negli Usa il taglio dei fondi ai centri per la pianificazione familiare ha messo a rischio la salute di milioni di donne. Il divario salariale di genere nel mondo è pari al 23 per cento, e 104 paesi hanno leggi che impediscono a oltre 2,7 milioni di donne di svolgere determinate professioni. Quasi il 60 per cento delle donne lavoratrici nel mondo (circa 750 milioni) non beneficia del diritto al congedo di maternità. A livello mondiale, il 40 per cento delle donne in età fertile vive in paesi in cui l’aborto è ancora soggetto a gravi restrizioni. Il 23% delle donne che hanno partecipato a un sondaggio realizzato in otto paesi ha subìto abusi o molestie online.
Per Amnesty, l’anno prossimo, il 40esimo anniversario della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, sarà un’occasione fondamentale, e l’organizzazione sta sollecitando i governi ad agire per assicurare che i diritti delle donne siano rispettati. “Amnesty International può e deve fare di più sui diritti delle donne. Mentre ci apprestiamo a entrare nel 2019 credo più che mai che dobbiamo stare accanto ai movimenti delle donne, amplificare le loro voci in tutte le loro diversità e combattere per il riconoscimento di tutti i nostri diritti”, ha concluso Naidoo.