In Repubblica Ceca società immobiliari riconducibili all'imprenditore italiano hanno proprietà nelle zone più lussuose. Latitante ad Abu Dhabi dal 2012, coinvolto anche nell'inchiesta su Banca Carige perché alcuni dirigenti gli prestavano soldi nonostante il gruppo avesse ricevuto l'interdittiva antimafia dalla Prefettura di Savona, Nucera aveva come collaboratore Vincenzo Chiaro, nipote di Girolamo Demasi, indicato come affiliato alla cosca Gullace-Raso-Albanese di Cittanova
Korunnì è una delle arterie principali di Praga: scorre attraverso Vinohrady, “vigneti”, un quartiere che nel XIV secolo era una distesa di vigne. I bei palazzi Art Nouveau e l’atmosfera elegante hanno attirato importanti investimenti da tutto il mondo, a partire dalla caduta del Muro di Berlino. Al civico 810/104 sopravvive l’ultimo tesoro di Andrea Nucera, imprenditore che fino al 2012 s’è conquistato gli appalti più importanti tra Liguria e Basso Piemonte. A febbraio 2018 è stato rinviato a giudizio insieme ad altri 21 imputati per bancarotta fraudolenta. E intanto vive tra Dubai e Abu Dhabi: “Io non faccio il latitante. Io faccio l’esiliato”, diceva a Chi l’ha visto? l’ultima volta che ha fatto parlare di sé, ad aprile 2017. Una bella vita, nonostante la lontananza dall’Italia: si è costruito un ristorante – “Italianissimo” – e non ha mai smesso di concedersi lussi, riuscendo inoltre a trasferire nel Golfo l’intera famiglia.
A Korunnì 810/104 ha la sua cassaforte in est Europa: Geo Investments As, società con un capitale di circa un milione di euro. Un salvacondotto per la sua latitanza. “Non ci sono imprese con questo nome qui”, è la risposta che ottengono sul posto i reporter di Investigace.cz, centro di giornalismo investigativo ceco che ha condotto l’inchiesta insieme a Irpi. Nessuno la vede, eppure esiste.
Insieme a Nucera, dentro Geo Investments As c’è il suo storico collaboratore Vincenzo Chiaro. Imprenditore, è nipote di Girolamo Demasi, socio di peso nell’azienda di famiglia. Demasi, infatti, sarebbe “affiliato alla cosca Gullace-Raso-Albanese di Cittanova […] con ramificazioni in tutto il nord-ovest d’Italia”, come emerge dall’Operazione Terra di Siena condotta dalla Dia di Genova nel 2013. In sostanza – sostiene la prefettura di Savona che spicca l’interdittiva antimafia nei confronti del gruppo Geo nel 2010 – Demasi avrebbe messo a disposizione del clan Raso-Gullace-Albanese alcune delle imprese di cui Chiaro faceva parte.
Per anni Nucera e Chiaro si sono mossi nella zona grigia, dalle lottizzazioni in riviera alle aperture di conti correnti e aziende a Dubai e Abu Dhabi. Una frenesia che li ha portati pure nelle carte delle indagini su Banca Carige. L’istituto di credito ha prestato più di un personaggio, tra cui l’ex ad Giovanni Berneschi, all’inchiesta della guardia di Finanza che ha cristallizzato le responsabilità nel crac del gruppo Nucera. Per gli inquirenti, Nucera è “capitale sociale” delle cosche. Una tradizione familiare: il padre Giovanni era l’ex braccio destro del tesoriere di Bettino Craxi, Alberto Teardo, nel 1983 è arrestato (poi assolto) con l’accusa di associazione mafiosa.
Nel 2009 sono gli investigatori milanesi che stanno indagando su un altro clan di ‘ndrangheta, quello dei Valle, ad accendere un faro sulle connessioni del costruttore in Lombardia. Durante le intercettazioni tra un imprenditore ritenuto vicino al clan e Fortunato Valle, figlio del vecchio capo Francesco e anima imprenditoriale della cosca, l’imprenditore ligure viene descritto dai due come “il grande capo Andrea”.
In realtà in quel periodo l’impero del gruppo Geo si sta disgregando, ma le attività non si fermano e Nucera gira in lungo e in largo il mondo con il suo jet privato registrato alle isole Cayman. Un lavorìo che gli serve a preparare la latitanza dorata. Dalle indagini sul crac, chiuse nel maggio del 2014 e coordinate dall’attuale procuratore capo di Savona, Ubaldo Pelosi, emerge come le bancarotte di Nucera servissero solo a nascondere milioni tra Lussemburgo, Svizzera e Dubai. Un sistema con cui otteneva credito bancario, pur avendo società piene di debiti per poi dichiarare bancarotta, portando il denaro altrove.
Ad aiutarlo un gruppo di professionisti riconducibile anche a Banca Carige, che nonostante l’interdittiva antimafia e le indagini, con il costruttore ligure è sempre stata assai generosa: 70 milioni di euro di credito, 57 dei quali derivanti da una lottizzazione in quel di Ceriale, poi valutata dal consulente fallimentare 38 milioni scarsi.
“Non appena abbiamo capito chi avevamo di fronte, ce ne siamo andati. Aveva un atteggiamento aggressivo, voleva comprarsi tutto. Non faceva per noi”. Antonino Calabrese è il presidente di ImpresaPonte srl, immobiliare con sede a Milano. È stato lui nel 2008 a far nascere Geo Investments As, all’epoca battezzata GeoPonte As. L’unione tra le due società è durata meno di un anno: già nel 2008 il Gruppo Geo ha iniziato ad avere crisi di liquidità, tanto che ImpresaPonte ha lasciato la joint venture rilevando a Praga parte degli immobili del gruppo Nucera a compensazione del debito.
L’uomo di Nucera in Repubblica Ceca è il commercialista Roberto Di Cursi: dentro Geo Investments è prima membro del collegio dei sindaci, poi diventa consigliere, fino a ricoprire la carica di presidente tra il 2010 e il 2013. “Non ho più rapporti con Nucera”, scrive Di Cursi ai giornalisti di Irpi, rettificando il registro imprese della Slovacchia, dove appare ancora come direttore della Geoinvest sro, società controllata dal 2011 dalla ceca Geo Investments. Mentre all’estero inizia a lavorare con Nucera, a Celle Ligure collabora con Finpor, società finanziaria di Alessandro Porro. Entrambe le esperienze professionali lo portano in Tribunale: imputato per reati fiscali, patteggia in entrambi i casi.
Nell’atto di conclusione delle indagini sulla bancarotta del gruppo Nucera più volte dalle società dell’imprenditore ligure prendono il volo denari che vanno a finire sui conti intestati alla National Bank of Abu Dhabi. Con lungimiranza – dice chi conosce l’ambiente – Nucera si è costruito un tesoretto nel Golfo per la lunga permanenza. Una di queste transazioni è contestata anche allo stesso Di Cursi: 179mila euro transitati nel 2011 da una delle società del gruppo finite in bancarotta alla Geo Investment As. Denari poi arrivati, stando alle indagini, in un conto “acceso presso National Bank of Abu Dhabi, intestato o comunque nella disponibilità di Nucera Andrea”. Nel corso di un interrogatorio Di Cursi si è difeso: “Ho solo eseguito degli ordini”. Naturalmente di Nucera. Poco lontano da Praga, a Budapest, gli investigatori genovesi avevano ricostruito un giro di false fatture di circa 4 milioni costate al costruttore due anni di reclusione in primo grado. A maggio di quest’anno Nucera è stato però assolto in appello: per i giudici il fatto non costituisce reato.
In Repubblica Ceca, il commercialista apre tra il 2008 e il 2011 intorno a Geo Investments As la galassia Genesi: Genesi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7. Società che servono a Nucera solo come veicolo, devono passare di mano in mano. Dal 2016 sono rimaste nell’orbita di Di Cursi. Il commercialista ne possiede direttamente una, la ex Genesi 4, oggi Bianco & Nero sro. Ma alla sua casella di posta corrispondono anche la ex Genesi 1,2 e 3, di proprietà della moglie slovacca e di un’altra prestanome. Dalla primavera del 2018 il commercialista è presidente del collegio dei sindaci della Camera di commercio italo-ceca, principale volano degli affari con l’Italia.
Intanto a svernare nell’area del Golfo con Andrea Nucera si trovano l’ex parlamentare Amedeo Matacena, il cognato di Gianfranco Fini Giancarlo Tulliani, il narcotrafficante Raffaele Imperiale e Samuele Landi, ex ceo di Eutelia, condannato in primo grado a nove mesi nel 2015 per il crac della società.
Da anni il problema degli accordi sull’estradizione con gli Emirati Arabi è sul tavolo del ministero della Giustizia, e in estate la Camera ha ratificato il trattato, mentre al Senato Davide Mattiello del Pd e Mario Michele Giarrusso del M5S chiedono alla presidente Maria Elisabetta Casellati di calendarizzare quanto prima il provvedimento. Chi conosce bene il funzionamento della giustizia emiratina pensa che la latitanza dorata sia destinata a continuare: i casi in cui vengono concesse estradizioni dai giudici in quei territori sono sostanzialmente riconducibili a fatti di sangue. Bancarotta e associazioni a delinquere o concorsi esterni per i giudici locali “sono più fantasie che fattispecie di reato”, spiega una fonte qualificata che sottolinea come di fatto gli accordi esistano già dalla convenzione di Palermo del 2001 ma che mai siano stati rispettati.
di Lorenzo Bagnoli e Luca Rinaldi