Theresa May tira il freno di emergenza della Brexit, annunciando che il voto del Parlamento di Londra, previsto per martedì, è rinviato. La decisione del primo ministro è figlia della probabile e pesante sconfitta a Westminster che avrebbe potuto compromettere la sopravvivenza dell’esecutivo. Ipotesi resa ancora più probabile dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che dà la possibilità al Regno Unito di bloccare unilateralmente il processo di uscita dall’Ue prima di aver siglato un accordo definitivo. Il primo ministro ha capito che il voto alla House of Commons può portarla alla gloria, in caso di ok all’accordo, o alla forca politica e, in mancanza dei tempi tecnici per un nuovo negoziato con Bruxelles, ha deciso di giocarsi tutte le carte a disposizione al prossimo Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre.
Nonostante da Downing Street si sia tentato in tutti i modi di non rinviare il voto, nelle ultime ore il governo ha capito che un nuovo confronto con i capi di Stato e di governo dell’Ue per ottenere ulteriori concessioni era necessario per sperare nell’appoggio Parlamento. Non a caso, mentre domenica sera il Segretario di Stato per la Brexit, Stephen Barclay, si presentava in tv a dire “si va avanti verso il voto”, Theresa May si attaccava al telefono per parlare con il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, e con il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Argomento delle telefonate, non è difficile immaginarlo, sono stati gli accordi riguardanti i confini tra Irlanda e Irlanda del Nord e lo spauracchio del backstop a oltranza, ossia la permanenza dell’Irlanda del Nord nel mercato unico con la Gran Bretagna inserita nell’unione doganale con controlli tra le due parti nel Mare d’Irlanda. Una soluzione che ha fatto alzare le barricate sia agli ultraconservatori britannici, impauriti per una possibile frammentazione del Regno, che agli unionisti nordirlandesi del Dup fondamentali per la tenuta dell’esecutivo, che si sentirebbero isolati dal resto del Regno. A confermarlo, nella giornata di lunedì, è arrivato anche un tweet del sottosegretario alla Famiglia, Nadhim Zahawi, in cui spiega che “Theresa May ha ascoltato i colleghi (di governo) e andrà a Bruxelles per respingere il backstop”.
Da giorni alcuni ministri e membri del governo May stavano cercando di convincere il primo ministro ad accettare uno spostamento del voto, almeno dopo il Consiglio europeo di giovedì, nel tentativo di evitare un no-deal. Lo spauracchio della hard Brexit è l’arma con la quale il primo ministro ha cercato di intimorire le opposizioni fin dall’inizio del suo mandato e arrivare a marzo 2019 senza un accordo sarebbe a maggior ragione una sconfitta politica che potrebbe comprometterne il futuro alla guida del Paese. L’alternativa circolata nelle ultime ore e che sembrava quella preferita da May era quella di andare al voto parlamentare senza spostamenti e, in caso di bocciatura, tornare a Bruxelles chiedendo maggiori concessioni per evitare un no-deal che, comunque, penalizzerebbe anche gli Stati membri. Ripresentarsi nei palazzi dell’Ue dopo una bocciatura così pesante, considerando anche i tempi tecnici ristrettissimi, avrebbe ulteriormente complicato le trattative e così una parte dell’esecutivo si è impegnata ed è riuscita a convincere il premier ad ammorbidire le sue posizioni.
La linea dura ostentata fino ad oggi dal governo May ignorava, inoltre, le proteste interne alla Gran Bretagna per un accordo che sembra soddisfare quasi nessuno a Westminster. I sostenitori della hard Brexit continueranno a portare avanti l’idea dello scontro duro con Bruxelles, più di un centinaio di parlamentari conservatori hanno preannunciato il loro “no” al testo presentato dal governo. A questi vanno aggiunte le possibili bocciature da parte dei parlamentari scozzesi in prima linea per il remain, degli unionisti nordirlandesi e dei labouristi che a fine settembre hanno aperto all’ipotesi di un secondo referendum sulla Brexit e che puntano a far cadere il governo, visto che il loro leader, Jeremy Corbyn, è oggi in vantaggio nei sondaggi.
Ad aggiungere imprevedibilità al voto della House of Commons è arrivata, nella mattinata di lunedì, anche la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue che ha stabilito la possibilità per il Regno Unito di bloccare unilateralmente, “rispettando i principi democratici e i parametri costituzionali del Paese”, il processo di uscita dall’Unione. Una vittoria per alcuni membri scozzesi al Parlamento di Edimburgo, di Westminster e di Bruxelles che avevano avviato una lunga battaglia legale per chiedere la verifica su una possibile revoca unilaterale da parte del Regno Unito. Dopo il parere diffuso una settimana fa, i portavoce della Commissione europea avevano risposto con un “no comment” quando è stato chiesto loro se erano al corrente di questa possibilità dopo aver sostenuto, insieme all’esecutivo britannico, che uno stop alla Brexit non fosse possibile.
Questa novità potrebbe rendere ancora più impervia la strada che porta all’accettazione del Parlamento britannico di un accordo con Bruxelles. Oggi, i sostenitori del remain, tra cui anche i labouristi, potrebbero decidere di far naufragare ogni possibile stretta di mano con l’Europa per inseguire il sogno di un nuovo referendum.