Mancano sei mesi alle elezioni europee e la Commissione lancia il piano d’azione definitivo per la lotta alle fake news. La nuova strategia triplicherà i fondi a disposizione della task force guidata dal Servizio europeo di azione esterna (Seae) guidato da Federica Mogherini, portandoli da 1,9 milioni a 5 milioni di euro, aumentando il numero di persone impegnate nell’individuazione dei messaggi falsi e chiedendo soprattutto la collaborazione di tutti i 27 Stati membri a livello nazionale. Ma la lotta contro quello che Bruxelles considera il principale diffusore di fake news, la Russia, sembra impari: secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione, la cosiddetta “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo ha prodotto 4.564 messaggi falsi da quando la task force ha iniziato a monitorarli, nel 2015, con un investimento da parte del governo moscovita da 1,1 miliardi all’anno.
Per la prima volta, la Commissione indica esplicitamente Mosca come la principale fonte di fake news che si riversano sui cittadini dell’Unione europea. “Abbiamo visto tentativi di interferire in elezioni e referendum, con prove che indicano la Russia come fonte primaria di queste campagne. La disinformazione fa parte della dottrina militare russa e della sua strategia di dividere e indebolire l’Occidente. Dobbiamo essere uniti e mettere insieme le nostre forze per proteggere le nostre democrazie contro la disinformazione”, ha dichiarato il vicepresidente e commissario per il Mercato Unico Digitale, Andrus Ansip, presentando il piano d’azione europeo.
Anche Federica Mogherini ha voluto sottolineare, attraverso un comunicato della Commissione europea, la necessità di un impegno al contrasto delle fake news: “Una democrazia sana si basa su un dibattito pubblico aperto, libero ed equo – si legge – È nostro dovere proteggere questo spazio e non permettere la diffusione della disinformazione che alimenta l’odio, la divisione e la sfiducia nella democrazia. In quanto Unione europea, abbiamo deciso di agire insieme e rafforzare la nostra risposta, promuovere i nostri principi, sostenere la resilienza delle nostre società all’interno dei nostri confini e nei paesi vicini. È il modo europeo per rispondere a una delle principali sfide dei nostri tempi”.
L’idea messa in campo dalle istituzioni si basa su quattro “pilastri” fondamentali: potenziamento della task force e delle delegazioni Ue nei Paesi limitrofi con l’uso di personale specializzato per l’individuazione di notizie false circolanti sui media e i social, con un aumento dei fondi a disposizioni del Seae che passeranno da 1,9 milioni a 5 milioni di euro. Poi la creazione di un sistema di allarme rapido tra istituzioni Ue e Stati membri che aiuti nell’individuazione delle fake news e nella condivisione delle informazioni. Il terzo pilastro riguarda l’immediata operatività dei Paesi membri, in vista delle elezioni, nel garantire la trasparenza delle campagne politiche, la lotta ai profili falsi, l’individuazione di interazioni non umane sui social e di operazioni di disinformazione. Infine, Bruxelles pone l’obiettivo di contribuire all’alfabetizzazione mediatica dei cittadini attraverso campagne mirate.
Al momento, nel gruppo di lavoro che fa capo al Seae lavorano solo 14 persone, di cui appena quattro impiegate a tempo pieno nella ricerca di fake news. Nel piano d’azione della Commissione, non a caso, è previsto di investire i nuovi fondi anche per rinfoltire la squadra di esperti e ricercatori. Il principale monitoraggio avverrà sul web, dove si diffonde la maggior parte di fake news e dove è anche più difficile individuarle.
Un quadro della situazione online lo ha fornito il commissario europeo per l’Unione della Sicurezza, Julian King: Facebook ha ammesso che i profili falsi costituiscono il 3-4% del totale, ossia 60-90 milioni di account. L’80% dei profili Twitter che hanno diffuso disinformazione nella campagna elettorale Usa 2016 che ha portato all’elezione di Donald Trump, ad esempio, sono ancora attivi oggi e postano “oltre un milione di tweet al giorno”. È proprio su questi numeri che, con la collaborazione delle grandi piattaforme social online che hanno già raggiunto accordi di collaborazione con Bruxelles, l’Ue ha intenzione di lavorare per limitare il flusso di false informazioni che possano influenzare il voto del prossimo maggio.
Ma non si tratterà solo di social. A dover essere monitorati saranno anche i cosiddetti media tradizionali, ossia tv, giornali, radio. “Sappiamo tutti che la disinformazione non è solo relativa ai social media – ha continuato Ansip – Dobbiamo fare attenzione anche ai media tradizionali perché abbastanza spesso è attraverso un mix tra media tradizionali e social media che persone poco raccomandabili disseminano menzogne“.
La guerra è solo all’inizio e i pochi milioni di euro e il piccolo gruppo di esperti impegnati nella ricerca delle fake news non sembra poter impensierire la “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo raccontata anche in un’inchiesta di FQMillenniuM e che impiega oltre mille dipendenti per un investimento annuo da 1,1 miliardi di euro. Soldi spesi per diffondere falsità soprattutto su temi che riguardano l’Unione europea e che oggi possono spostare il maggior numero di voti: terrorismo, migranti, istituzioni europee, Nato, guerra in Siria e Ucraina, mentre negli ultimi mesi sono aumentati anche i messaggi riguardanti l’ascesa di gruppi neofascisti e neonazisti, Angela Merkel e, ovviamente, Donald Trump.