Quasi 16 anni, in media, per progettare e realizzare una grande opera pubblica di valore superiore ai 100 milioni di euro. Mentre per quelle piccole, da meno di 100mila euro, ci vogliono poco più di due anni e mezzo. Ma i tempi lievitano quando a gestire gli appalti sono i Comuni. Al contrario le Regioni riescono a ridurli del 22% rispetto alla media. Il governo gialloverde ha intenzione di riscrivere il Codice dei contratti pubblici, entrato in vigore solo due anni fa, con l’obiettivo dichiarato di velocizzare gli adempimenti e far ripartire gli investimenti bloccati: nel 2017 la spesa per opere e infrastrutture è crollata a 33,7 miliardi contro i 54,2 del 2009. Le differenze di performance tra i diversi enti fanno però pensare che parte del problema stia nel livello di preparazione delle stazioni appaltanti. “La pa si è molto impoverita delle competenze tecniche e ingegneristiche necessarie per gestire le fasi di affidamento ed esecuzione”, commenta al fattoquotidiano.it Alberto Vannucci, docente di Scienza politica a Siena ed esperto di anticorruzione. “Quindi è disarmata e finisce per essere ostaggio dei privati. E questo spiega anche la difficoltà di attuare le varie riforme della normativa sugli appalti che si sono succedute dopo Tangentopoli“.
Gli enti locali non mollano i cordoni della borsa – Il decreto per ridurre drasticamente gli oltre 30mila centri di spesa, abbozzato lo scorso febbraio dal governo Gentiloni, non è mai stato varato. Nella legge di Bilancio era stato previsto in compenso che i Comuni non capoluogo dovessero fare le gare attraverso la provincia o città metropolitana di riferimento, ma durante il passaggio in commissione alla Camera il testo è stato modificato e l’obbligo è stato trasformato in facoltà. Così i cordoni della borsa restano nelle mani di amministrazioni locali non sempre all’altezza. “Le amministrazioni da un lato manifestano continue ambasce nell’applicare il Codice dei contratti perché non dispongono di personale adeguato per quantità e qualità“, commentano il presidente dell’Anac Raffaele Cantone e Enrico Carloni in Corruzione e anticorruzione (Feltrinelli), “dall’altro però non vogliono perdere il controllo sulle proprie procedure di gara affidandole a un altro soggetto”.
16 anni per le grandi opere, 2,6 per le piccole… – Le conseguenze si fanno sentire anche sui tempi di attuazione delle opere. Come dimostra il rapporto 2018 preparato dall’Agenzia per la coesione territoriale, che riassume i dati su 56mila interventi per un valore totale di 119 miliardi di euro, finanziati per 27 miliardi con fondi strutturali europei e per 93 miliardi con risorse della programmazione nazionale. Rispetto alla rilevazione del 2010, realizzare un’opera da oltre 100 milioni di euro richiede cinque anni in più: se allora la media era di 10,4 anni, ora è salita a 15,7. Un dato influenzato solo in parte dal nuovo Codice appalti in vigore dall’aprile 2016, perché già nel 2014 i tempi medi si erano allungati a 14 anni. Per le piccole opere invece non è cambiato quasi nulla: nel 2010 l’iter dalla progettazione alla fine dei lavori richiedeva 2,7 anni, oggi sono 2,6. Del resto il Codice consente ancora di ricorrere alla procedura negoziata, invece della gara, per i lavori di importo inferiore a 1 milione di euro.
…ma il 60% del tempo se ne va in passaggi burocratici – Più l’opera è piccola, però, più continuano a pesare i “tempi di attraversamento“, cioè quelli morti tra una fase e l’altra: un indicatore di quanto la burocrazia e le lungaggini amministrative contribuiscono a rinviare l’inaugurazione. Se nel caso dei lavori più grandi per gli adempimenti se ne va “solo” il 44% del tempo, per quelli sotto i 100mila euro la percentuale sale al 59,5 per cento. Vale a dire che azzerandoli la realizzazione dell’opera richiederebbe meno della metà del tempo.
Comuni più lenti: un anno in più per i progetti – L’altra variabile che influenza notevolmente la durata dei lavori è appunto l’ente che li gestisce. Il rapporto dell’agenzia pubblica guidata da Antonio Caponetto mostra che, al netto dei tempi di attraversamento, per concludere la fase di progettazione ci vuole il 31,9% in meno rispetto alla media se l’ente attuatore è una Regione, mentre ai Comuni serve dall’11 al 13,6% in più, a seconda della grandezza: tra i 2,7 e i 2,8 anni contro gli 1,7 anni medi che servono alle Regioni. I Comuni piccoli e medi tendono anche ad avere più difficoltà nella realizzazione, allungando i tempi rispettivamente del 10 e del 7%. Nel complesso, secondo l’Agenzia i tempi di attuazione totali sono inferiori del 22,4% se il gestore è una Regione e più lunghi del 14,4% se è invece un Comune di medie dimensioni. Sullo sfondo restano naturalmente le differenze territoriali: Basilicata e Molise sono maglia nera per tempi medi di realizzazione, 5,7 anni contro i 4,4 nazionali. Subito dietro la Sicilia con 5,3 anni e la Liguria, a 5,2. Le durate più brevi si registrano invece in Emilia Romagna e Lombardia, con 4,1 anni medi.