In tasca ce l’ha un italiano su dieci, non di più. Per gli altri, serviranno altri sette anni. Con l’operazione “reddito di cittadinanza” si torna a parlare, non senza polemiche, di tessere e di chip, di tempi, procedure e costi di emissione. In tema di digitalizzazione dei servizi al cittadino l’Italia vanta un precedente più che ingombrante, da Guinness dei Primati: la carta di identità elettronica, questa semi sconosciuta da un quarto di secolo. Il progetto per la sostituzione del documento cartaceo risale, niente meno, alla Legge Bassanini. Era il 1997, l’anno della morte di Lady Diana, del successo delle Spice Girls, dell’Inter di Ronaldo, di Scalfaro Presidente e delle fibrillazioni del primo governo Prodi. Da allora, ne sono seguiti altri 20 di anni e ben 12 normative in materia di semplificazione e innovazione nei servizi della Pa. Nessuno saprebbe quantificare il costo di questa corsa all’innovazione azzoppata dall’evanescenza degli impegni politici, dalla cronica carenza delle competenze e risorse necessarie: quanti gruppi di lavoro e commissioni? Quante strutture tecniche, gare e affidamenti per materiali e sistemi informatici? Certo, è invece un dato: soltanto un italiano su dieci oggi può esibire il documento col chip, e – di questo passo - serviranno sette anni per farlo avere a tutti gli altri.
I dati ufficiali del Viminale dicono che, dopo due lustri, solo un italiano su dieci ne ha in tasca una, per l’esattezza 6.473.762 di persone (10,58%). Vero è che la maggior parte si devono all’accelerazione impressa dal Poligrafico dello Stato grazie al supporto del team per la Trasformazione digitale che fa riferimento a Diego Piacentini, una delle intuizioni riuscite di Matteo Renzi. C’è un grafico che ben illustra l’andamento della diffusione, sia della tecnologia che dei rilasci. In pratica i comuni abilitati alle Cie e quelli che le emettono effettivamente. Il grafico mostra un’impennata a partire dal secondo quadrimestre del 2017 che non si è più fermata e oggi – stando a dati ufficiali – sono ormai 7.504 le anagrafi attrezzate su 7.982 comuni. In pratica 478 non sono ancora “allacciati”, l’obiettivo dichiarato è di raggiungerli tutti entro il 31 dicembre 2018. I dati più aggiornati indicati dal Poligrafico dello Stato dicono che siamo effettivamente al 99%, ma il dato non deve ingannare.
Il grafico mostra infatti lo scollamento tra i valori di dotazione e quelli di emissione, a significare che molti comuni che risultano formalmente attrezzati e abilitati, in realtà non emettono i documenti, oppure hanno tempi medi molto lunghi rispetto alle previsioni. Se mediamente vengono emesse circa 120mila Cie a settimana, è il dato geografico a fare la differenza per il cittadino. Esiste infatti un tema di efficienza dei rilasci e di tempi di attesa che ha portato a stilare “classifiche” nazionali dai differenziali apparentemente incomprensibili, perché da una anagrafe all’altra lo stesso servizio può essere erogato in tempi molto diversi, secondo le criticità interne alla singola amministrazione o anagrafe per far fronte alle richieste. Anello debole della filiera del rilascio è infatti l’appuntamento su prenotazione, che può effettivamente richiedere pochi giorni fino a diverse settimane e interi mesi. Siamo al federalismo digitale dei servizi al cittadino: il record negativo spetta a Roma Municipio VII, con 130 giorni medi di attesa contro i 30 di Milano, i 6-7 di Bergamo.
Sul sito www.forum.italia.it che è lo spazio di dialogo messo a disposizione dei cittadini per i progetti di e-gov ci sono diverse testimonianze come questa. Scrive Davide Casuccio da Capua: “Nonostante la conferma dell’attivazione del servizio CIE sul relativo sito il Comune di Capua rilascia ancora le vecchie carte d’identità cartacee. Alla domanda riguardo la CIE mi è stato risposto dai funzionari del comune che l’attiveranno “più poi che prima”, questo effettivamente risulta abbastanza strano visto che il servizio risulta attivo in praticamente tutti i comuni limitrofi tranne che nel già citato Comune di Capua”.
Non sono poi mancati recenti errori-orrori. Su una frontiera digitale dove sbagliare sembra quasi impossibile, dato il livello di automazione dei processi e delle procedure Cie, è capitato che 346mila chip consegnati tra ottobre 2017 e febbraio 2018 nelle mani di altrettanti cittadini fossero fallati. La data di emissione riportata sulla tessere elettronica non era quella registrata nel microprocessore. Il Poligrafico ha riconosciuto l’errore spiegando però che non invalidava le funzionalità della carta, né sortiva effetti sulla possibilità di espatrio. E disponeva il ritiro delle partite fallate. Tuttavia quell’errore si è protratto per quattro mesi prima che qualcuno se ne accorgesse e la vicenda è diventata di pubblico dominio su segnalazione, a maggio, del presidente dell’Anci Antonio Decaro. Il costo riferito da fonti sindacali di 50 milioni di euro non ha avuto conferme né smentite. La domanda che corre è: quanto tempo ci vorrà ancora?
Nel 2018 quello medio di emissione è stato di 580mila tessere al mese, 140mila a settimana. Ecco perché, ai ritmi attuali, per dare una card ai restanti 53 milioni ancora sprovvisti potrebbero servire sette anni. Il motivo è strutturale, figlio di una precisa scelta del legislatore di subordinare l’innovazione al suo costo. “In Italia ogni anno si rifanno circa 6 milioni di carte d’identità tra quelle nuove dei 18enni, quelle scadute a 10 anni e le poche smarrite o danneggiate”, spiega Simone Piunno, Chief Technology Officer del team per la trasformazione digitale a Palazzo Chigi. “Il legislatore ha previsto l’emissione di quella elettronica solo in quei casi cioé ex novo, non in sostituzione di quelle ancora in corso di validità. Fino a che non cambierà la legge questo è il tempo necessario, accelerare avrebbe certo un effetto positivo in termini di diffusione del servizio e dell’innovazione ma dall’altra parte ha anche un costo che si è deciso di sostenere, ma solo gradualmente”.
Il Poligrafico, dal canto suo, tiene a precisare che il progetto Bassanini, per quanto intuitivo, effettivamente non ha avuto seguito. Per questo è “impreciso” parlare di “20 anni di attesa”, perché le linee guida legislative per il progetto della nuova Carta d’Identità Elettronica risalgono a dicembre 2015. Da lì in poi, si è marciato spediti: il “dispiegamento” di carte è iniziato a luglio 2016, con un milione di emissioni a ottobre 2018 arrivate a 6.8 circa a dicembre 2018 (in un anno dato sestuplicato). Così, quel 10% cittadini in possesso della card elettronica non è da da leggere in negativo in assoluto, perché rispetto al passato è una balzo in avanti, anche considerato il lasso di tempo dall’avvio del dispiegamento, con una media produzione giornaliera intorno ai 30mila documenti. A dicembre 2018 è stato poi raggiunto l’obiettivo fissato con il 99,9% della popolazione coperta e cittadini dei comuni rimasti fuori rappresentano meno dell’1% della popolazione.
Aggiornato 17 dicembre 2018