Un medico pauroso non svolge bene il suo compito. Viene assalito da dubbi, è preoccupato in modo eccessivo per gli effetti collaterali e tende a mettere in atto delle terapie meno invasive e quindi meno efficaci. Il problema del timore rispetto al proprio operato è molto elevato quando ci sono in ballo i familiari, tipo figli o genitori. È per questo che, solitamente, viene sconsigliato al medico di curare i propri congiunti. Anche la paura rispetto alle eventuali conseguenze medico-legali dei propri interventi può divenire paralizzante e provocare delle pratiche mediche errate. Per fare un esempio comprensibile è come tirare un rigore in allenamento oppure in una finale di coppa dei campioni. La pressione psicologica può indurre l’errore.
Le pratiche errate più frequenti del medico che ha timore delle conseguenze del suo operato sono: l’eccesso di richieste di esami, l’abuso dell’invio in ospedale, la mancata presa in carico del paziente e la delega a colleghi. Spesso può capitare che le cure siano sottoutilizzate per paura degli effetti collaterali oppure, viceversa, sovraprescritte per cercare un miglioramento a tutti i costi. Negli ultimi anni oltre ai due timori prima elencati, quello verso le persone care e quello relativo alle possibili conseguenze legali, è subentrata una terza paura legata alla possibilità di aggressioni fisiche. Le segnalazioni di violenze verso i sanitari sono preoccupantemente in rapida ascesa. Alcune professioni, tipo il pronto soccorso e la guardia medica, hanno percentuali di circa un terzo degli addetti che negli anni ha subito aggressioni. Il recente episodio avvenuto a Crotone ci porta a necessarie riflessioni.
Quando il medico guarisce o toglie la sofferenza il paziente manifesta una sorta di venerazione, che si tramuta in odio o avversione se qualcosa va storto. L’attività medica non può avere un risultato obbligatorio nella guarigione, perché purtroppo la scienza ha raggiunto solo determinati confini. Ogni farmaco efficace ha anche effetti collaterali e ogni cura, anche quella più sperimentata e sicura, presenta casi in cui risulta inefficace. Inoltre il destino dell’uomo è inevitabilmente la morte. La sanità italiana risulta un modello positivo nel panorama internazionale. Di fronte alle aggressioni fisiche e al numero delle denunce in costante aumento, circa un 5% dei medici ogni anno, il rischio concreto è di avvicinarsi al modello statunitense. Nella sanità degli Usa i prezzi delle prestazioni sono il doppio rispetto all’Italia perché una componente enorme delle parcelle viene destinata alle coperture assicurative e agli avvocati che seguono i medici. È raro che il medico americano prenda in cura il paziente ma, piuttosto, attua una medicina difensiva per cui abusa di esami, ricoveri o prestazioni. Insomma, quando il paziente entra in studio, il medico lo vede come una persona sofferente da curare, ma anche come un potenziale nemico che un giorno potrebbe indirizzare la sua rabbia verso il sanitario.
Per scongiurare questa involuzione dell’attività medica, nelle ultime legislature sono state promulgate due leggi: prima il decreto Balduzzi n. 158, 2012, poi la legge Gelli-Bianco n.24, 2017. Entrambe peccano di farraginosità e non affrontano il problema centrale legato al fatto che, anche se il medico verrà assolto penalmente – cosa che avviene in oltre il 90% dei casi – rimanga invischiato in una causa lunga, costosa e psicologicamente distruttiva, per molti anni. A questo punto il nuovo legislatore si trova di fronte a due strade: lasciare che l’attività medica evolva come negli Usa o togliere la possibilità di denuncia penale verso il medico (a parte il dolo, cioè la volontaria lesione del paziente). Lasciando solo un contenzioso civile, che sfocia in un risarcimento, e non penale, che porta al carcere, il medico sarebbe più sicuro.
La tutela del medico non è solo un’esigenza corporativa dei professionisti ma una tutela per i pazienti. Io, come malato che necessitasse un intervento chirurgico, mi sentirei più tranquillo avendo a che fare con un chirurgo che quando taglia la mia pancia non ha timore di essere incriminato per omicidio colposo. Per tornare all’esempio del rigore: non credo che il calciatore in questione sarebbe molto efficace, sapendo che in caso di errore verrebbe imprigionato. Per ridurre l’aggressività occorre uno sforzo culturale da parte dei medici per essere più empatici e da parte dei pazienti a essere, come dice la parola, più pazienti verso il sanitario, che fa del suo meglio ma non sempre può guarire.