In 590 pagine i giudici di appello motivano la condanna degli imputati e il riconoscimento del 416 bis. L'organizzazione utilizzava "corruzioni", metteva a frutto "contributi elettorali", offrendo "protezione" e potendo contare "sull'omertà" generata dalla paura
Mafia capitale esiste. Anzi è esistita: ha una data di nascita, ma anche una di morte. La prima è il 14 settembre 2011. È la data che compare sul certificato di nascita della “piovra romana” così come “compilato” dai giudici della III Corte d’appello di Roma che in 590 pagine motivano come e perché un incontro, in un bar all’Eur, tra Massimo Carminati e Salvatore Buzzi abbia generato “un’associazione di tipo mafioso di nuova formazione, di piccole dimensioni e operante in ambito limitato” che puntava a far eleggere e collocare “soggetti affidabili” in posti chiave del Campidoglio. Una visione che, l’11 settembre 2018, ha abolito il giudizio della X sezione penale Tribunale, che pur infliggendo pene fino a 20 anni, aveva scisso “in due diversi gruppi criminali” quello che per la procura di Roma, a partire dal capo Giuseppe Pignatone, era un’organizzazione criminale come Cosa nostra o la camorra. Un gruppo di personaggi con un passato in Romanzo criminale e un presente nei palazzi che contano, capace di infiltrarsi e fare business nella gestione dei centri accoglienza per immigrati e dei campi nomadi, di finanziare cene e campagne elettorali, che aveva una filosofia ben precisa ed era appunto mafia. Che, però, per i giudici, a differenza di altre organizzazioni criminali ha una data di morte: il 2 dicembre 2014, il giorno degli arresti.
“L’articolo 416 bis del codice penale non punisce solo le mafie tradizionali – spiegava Pignatone – le piccole mafie, piaccia o non piaccia, hanno piena cittadinanza per essere punite, anche le piccole mafie sono tali se usano il metodo mafioso”. Ed è in questo scenario che i giudici, Claudio Tortora Roberta Palmisano e Patrizia Campolo, calano il mondo degli appalti di un ex detenuto poi laureatosi in lettere, che grazie alle tangenti aveva infiltrato le istituzioni romane, e la fama criminale di un personaggio, vicino sia al mondo dell’estrema destra che a quello della banda della Magliana, così temuto da essere definito in una intercettazione “l’ultimo re di Roma, sopra a tutti i boss de Roma”. “Un’unica associazione” con “progetti espansionistici” che utilizzava “corruzioni“, metteva a frutto “contributi elettorali“, offrendo “protezione” e potendo contare “sull’omertà” generata dalla paura che il solo nome di Carminati, il Cecato, scatenava.
“Buzzi e Carminati concordarono sempre la linea strategica da seguire”
“Nell’associazione Carminati conferì la sua forza di intimidazione e Buzzi conferì l’organizzazione delle cooperative e il collaudato sistema di corruttela e di prevaricazione” scrivono a pagina 461 i magistrati che aggiungono come l’associazione abbia potuto raggiungere grazie a false fatture e interposizioni fittizie una “posizione dominante” che “era garantita dalla politica anche grazie ai legami di Carminati con soggetti che con lui condividevano un passato di appartenenza ai movimenti eversivi di destra e che avevano raggiunto importanti responsabilità amministrative nel comune di Roma e nelle società partecipate (Eur e Ama). I due imputati – ragionano i giudici – concordarono sempre la linea strategica da seguire e Carminati agevolò, con i suoi interventi, la soluzione dei problemi. L’associazione che fu cosi costituita diminuì ancor di più la possibilità di concorrenza da parte degli imprenditori facendo passare le cooperative (di cui Carminati divenne amministratore di fatto insieme a Buzzi) da metodi di corruzione semplice a metodi di corruzione di tipo mafioso per effetto dei quali la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo determinò all’esterno una condizione di assoggettamento all’omertà. Questo salto di qualità (che ebbe subito un risultato quando le cooperative, dal fatturato di 26 milioni di euro nel 2012, superarono nell’anno successivo il fatturato di 50 milioni) è un’ulteriore conferma della avvenuta fusione dei due gruppi…”.
Mafia capitale come risultato di due “progetti espansionistici”
Mafia capitale quindi, in quanto “nuova associazione”, “fu la risultante di due progetti espansionistici: quello di Carminati che, utilizzando la forza criminale del gruppo di Corso Francia e la sua capacità di intimidazione voleva inserirsi anche nel settore amministrativo e imprenditoriale di cui Buzzi era espressione e quindi accedere dai reati di strada al Mondo di Sopra (come questo settore era stato da lui denominato nel suo manifesto programmatico) e il progetto di Buzzi che voleva utilizzare la fama criminale di Carminati e i rapporti di amicizia e la comune militanza politica che quest’ultimo aveva avuto in passato con persone della destra politica”. Si tratta di esponenti della destra che “avevano assunto nel Comune di Roma importanti responsabilità amministrative per rafforzare e implementare la sua posizione nel settore degli appalti pubblici”. Nell’associazione Buzzi “conferì l’organizzazione delle cooperative e il collaudato sistema di corruttela e Carminati i contatti con gli ambienti della destra che venivano dal suo passato e soprattutto la sua forza di intimidazione. Questo disegno trovò terreno favorevole nei comportamenti dei numerosi politici e funzionari e di quelli compiacenti“. Un “contesto amministrativo e politico” definito “permeabile” dai giudici. Che si inseriva perfettamente nella filosofia di Carminati: “È la teoria del mondo di mezzo compà. Ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo. E allora vuol dire che ci sta un mondo… un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano… come è possibile… che ne so… che un domani io posso stare a cena con Berlusconi”.
Le “corruzioni come sistema” e i “contribuiti elettorali”
La politica che garantiva era allo stesso tempo la politica corrotta con le tangenti e foraggiata con i contribuiti elettorale. “Carminati condivise il sistema instaurato da Buzzi: quello di infiltrasi nei gangli dell’amministrazione comunale individuando ed eventualmente corrompendo i politici e i funzionari che – spiegano i giudici – potevano agevolare gli interessi dell’associazione e delle cooperative. Una strategia condivisa per assicurasi una rete di rapporti e rafforzare le diverse modalità“. Mazzette, ma anche finanziamenti: “Nei rapporti con i politici la loro complicità fu assicurata anche con la corresponsione di contributi elettorali” in molti casi il “prezzo della corruzione”. Sintetizzato in una intercettazione dallo stesso Buzzi: “Ce sta’ trenta in nero e cento in chiaro”.
La protezione garantita e l’omertà
Ma “a conferma del carattere mafioso” c’è la “protezione garantita ad imprenditori e dal successivo inserimento nella loro attività con un rapporto caratterizzato dalla gestione di affari in comune”. Senza dimenticare l’omertà. Nell’orbita del distributore di benzina di Corso Francia, quartier generale di Carminati, “non furono presentate denunce delle violenze e intimidazioni subite e nel settore della pubblica amministrazione nessuno, e nemmeno gli imprenditori che avevano rinunciato a gare di appalti, presentò atti di denuncia o manifestò dissenso”. Una “condizione di assoggettamento e di omertà derivante dalla forza intimidatrice espressa dall’associazione emerse – chiosano i magistrati – soltanto grazie alle intercettazioni telefoniche”. Del resto gli imprenditori concorrenti erano talmente intimiditi che non hanno deposto davanti al giudice o hanno negato e ridimensionato i fatti. E poco importa che le vittime siano state poche: “Non è rilevante né il numero modesto delle vittime né il limitato contesto relazionale e territoriale…”. La capacità di intimidazione “fu utilizzata nei settori dell’estorsione, dell’usura e del recupero crediti e trasfusa nel mondo imprenditoriale e della pubblica amministrazione per gestire e controllare…”
Pressione per le nomine del Campidoglio
I due capi però puntavano sempre più in alto. “Carminati e Buzzi ebbero contatti ed esercitarono pressione per le nomine e i posti chiave dell’amministrazione Capitolina avendo interesse alla elezione e alla collocazione di soggetti affidabili nei ruoli decisionali”. Ed è per questo che nel giorno degli arresti che squassò la capitale con 37 persone individuate dagli uomini del Ros emerse che nel registro degli indagati erano iscritti politici di quasi tutti i partiti. “Gli interventi per posizionare in ruoli strategici persone gradite sono significativi della forza prevaricatrice dell’associazione nei confronti dei pubblici amministratori, mentre l’eliminazione dei personaggi scomodi e non graditi è una forma di prevaricazione esercitata anche nei confronti degli imprenditori… Buzzi in alcune situazioni di contrasto o difficoltà chiese espressamente l’intervento di Carminati per la sua forza di convincimento riconosciuta all’esterno. Carminati si inseriva quindi nel mondo imprenditoriale quando l’attività corruttrice di Buzzi non era sufficiente assicurandogli la soluzione dei casi più difficili e rilevanti con una provvista di violenza e capacità criminali“. “Lo famo strillà come n’aquila sgozzata” diceva il Cecato parlando di un imprenditore da minacciare.