La nave della Ong spagnola era stata sequestrata dalla Procura distrettuale di Catania che contestava il reato di associazione. Il provvedimento fu confermato dal gip che escluse il reato associativo e gli atti furono trasmessi a Ragusa dove il gip rigettò la richiesta. Il legale della Ong, l’avvocato Rosa Emanuela Lo Faro, si dice "sorpresa dalla decisione della Procura sia per i reati contestati sia per la parte lesa: perché - si chiede - il Viminale e non il ministero dei Trasporti?"
La Procura di Ragusa ha emesso un avviso di conclusione indagini sullo sbarco, il 15 marzo scorso, di 216 migranti a Pozzallo nei confronti del comandante della nave Proactiva Open Arms, Marc Reig Creus, di 42 anni, e della capo missione Ana Isabel Montes Mier, di 31 anni. I reati ipotizzati sono violenza privata e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La Procura di Ragusa ha individuato come parte lesa il ministero dell’Interno. La nave della Ong spagnola era stata sequestrata dalla Procura distrettuale di Catania che contestava il reato di associazione. Il provvedimento fu confermato dal gip che escluse il reato associativo e gli atti furono trasmessi a Ragusa dove il gip ha rigettato la richiesta di sequestro della locale Procura. Il legale della Ong, l’avvocato Rosa Emanuela Lo Faro, si dice “sorpresa dalla decisione della Procura sia per i reati contestati sia per la parte lesa: perché – si chiede – il Viminale e non il ministero dei Trasporti?”.
L’avviso di conclusione indagine è stato firmato dal procuratore di Ragusa, Fabio D’Anna, e dal sostituto Santo Fornasier. La Procura contesta al comandante Creus Reig e alla capo missione della nave Open arms, Mier Montes, in concorso, la violenza privata perché avrebbero “disatteso le istruzioni date loro dal comando Imrcc di Roma di non intervenire in occasione dell’evento Sar” e “nell’effettuare comunque il soccorso imbarcando, altri” migranti. I due sono accusati anche, “una volta giunti in prossimità del vicino porto di La Valletta per effettuare lo sbarco medico di alcuni migranti”, di avere “omesso di chiedere alle autorità maltesi l’organizzazione dello sbarco, ovvero l’indicazione di un porto sicuro”, nonostante fossero stati “sollecitati sia dalle autorità italiane che spagnole”. Il reato di violenza privata è contestato anche nell’avere “deciso di dirigersi verso le acque territoriali italiane, costringendo le autorità italiane a concedere loro l’approdo in un porto del territorio italiano per sbarcare 216 migranti soccorsi”. La Procura di Ragusa contesta anche al capitano e al capo missione della Open arms il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per avere “favorito l’ingresso in Italia di 216 cittadini extracomunitari” con “l’aggravante di avere commesso” la violenza privata per eseguire il favoreggiamento.
“Si prospetta un’ulteriore imputazione, estratta dal grande cappello dei reati previsti dal codice penale: in modo, ci permettiamo di dire, stupefacente, li si accusa di violenza privata, per aver costretto l’autorità marittima italiana a dar loro un porto di sbarco per i migranti che avevano raccolto in mare: il porto di Pozzallo dove sbarcarono – dicono gli avvocati Alessandro Gamberini e Rosa Lofaro – Si poteva pensare – osservano i due penalisti – che, dopo il provvedimento del gip di Ragusa, che aveva negato il sequestro della nave, e la sua conferma da parte del Tribunale al quale si era rivolto il Pm impugnandolo, sulla base del fatto che l’accusa non aveva i requisiti di serietà per essere proseguita, vi fosse una ragionevole presa d’atto della necessità di archiviare la vicenda. Così non è. Anzi”.
“La violenza e la minaccia – sottolineano gli avvocati – sarebbe consistita nel disobbedire agli ordini di consegnare i migranti ai libici, che erano sopraggiunti nella zona dove erano stati effettuati i soccorsi, in acque internazionali. Così, invece di prendere in esame se quell’ordine non fosse manifestamente criminoso alla luce della consapevolezza derivante dal notorio delle violenze alle quali sarebbero stati esposti i migranti se riportati in Libia, si pretende di trasformare quella disobbedienza – udite udite – addirittura in una violenza nei confronti delle autorità italiane, saltando così le regole minime che giustificano da un punto di vista sostanziale il reato contestato. Non può meravigliare allora, che, forse tradendo l’ispirazione culturale di una simile scelta – concludono i due difensori – si indichi come parte offesa specificamente e unicamente il ministro degli Interni, in luogo eventualmente della Presidenza del Consiglio o del ministro dei Trasporti”.