La logorante trattativa con l’Ue sulla Brexit prosegue e ora Theresa May deve affrontare il suo partito. Dopo l’annullamento del voto sull’accordo raggiunto con Bruxelles previsto ieri ai Comuni, i Tory ribelli hanno raggiunto il numero di voti necessari per mettere al voto una mozione di sfiducia nei confronti della leadership della premier nel Partito conservatore. L’annuncio è arrivato da Graham Brady, presidente della “commissione 1922”, organo dello schieramento conservatore cui sono state consegnate almeno 48 lettere necessarie per la calendarizzazione del voto. Che è cominciato poco dopo le 19 ora italiana e terminerà attorno alle 21. I risultati sono attesi attorno alle 22.
Vari ministri hanno espresso sostegno al capo del governo: tra loro i titolari degli Esteri Jeremy Hunt e dell’Ambiente Michael Gove. May deve ottenere i voti di almeno la metà dei deputati conservatori più uno, cioé 158, per mantenere l’incarico di leader del partito. Se supererà la prova, non potrà più essere contestata come leader dei Tory per un anno.
Le trattative tra la May e i suoi oppositori nel partito sono andate avanti per tutta la giornata. In serata il deputato Alec Shelbrook ha fatto sapere che la premier si è offerta di lasciare l’incarico prima delle elezioni legislative del 2022. Il tempo necessario, secondo altre indiscrezioni, per completare “una Brexit ordinata”. Una contropartita, secondo molti conservatori, messa sul piatto in cambio della conferma della fiducia.
Intorno all’ora di pranzo May ha affrontato il tema nel question time e ha avvertito i colleghi Tory che se stasera fosse sfiduciata come leader di partito, i tempi necessari per dar vita a una nuova leadership imporrebbero di “rinviare o revocare” l’articolo 50 di notifica della Brexit. E far quindi saltare o slittare – come ha notato, rispondendo alla mano tesa rivoltale dal veterano Ken Clarke, conservatore moderato, che aveva definito “irresponsabile” la sfida alla sua leadership dei brexiteers ultrà – l’uscita del Regno dall’Ue fissata per il 29 marzo 2019.
A Bruxelles la situazione in cui versa il governo di Londra è considerata “grave”. “Data la gravità della situazione nel Regno Unito – si legge nella lettera d’invito al summit Ue di domani e dopodomani, 13 e 14 dicembre, inviata ai leader europei dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk – inizio la mia lettera con la Brexit. L’intenzione è di ascoltare la valutazione del primo ministro britannico, e dopo, di incontrarci a 27 per discutere della questione ed adottare le opportune conclusioni”. “Poiché il tempo sta per finire – aggiunge – parleremo anche dello stato di preparazione per uno scenario di mancato accordo“, conclude Tusk.
Un’analisi condivisa da Angela Merkel: “Ci siamo preparati anche all’ipotesi di una hard Brexit“, ha detto la cancelliera interpellata nel parlamento dai colleghi, riferendo della discussione di stamattina nel suo gabinetto, dove sono state decise delle misure di protezione nel caso in cui si arrivasse a un’uscita disordinata di Londra dall’Ue. Merkel ha tuttavia sottolineato che Berlino “spera in un’uscita ordinata”. Quel che è certo è che al vertice Ue “non abbiamo intenzione di cambiare di nuovo il trattato della Brexit. Questa è la posizione comune dei 27 paesi – ha proseguito la Merkel – Quindi non c’è da attendersi adesso che noi qui usciamo dal dibattito con qualche modifica”.
Martedì Theresa May aveva fatto un lungo tour tra le capitali europee per sondare la disponibilità a cambiare la parte dell’accordo che riguarda il cosiddetto backstop, l’escamotage giuridico scelto per evitare il ripristino di un confine fisico tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, territorio britannico. In mattinata il primo ministro era stata a colazione all’Aja dal premier olandese Mark Rutte, poi era volata a Berlino dalla Merkel, quindi si era recata a Bruxelles per un faccia a faccia con il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.
In serata May è tornata a Londra portando con sé le preventivate dichiarazioni ufficiali di fermezza sul fatto che l’intesa sottoscritta “non si tocca“. “È l’unica sul tavolo”, ha ribadito Juncker. E non è rinegoziabile, come le ha ricordato faccia a faccia la cancelliera Merkel, all’unisono con altri. “Vogliamo aiutare, la questione è come”, ha concesso Tusk, sforzandosi di lasciare aperto un mezzo spiraglio.
Le indiscrezioni più ottimistiche fanno riferimento a un possibile documento allegato, giuridicamente spendibile, che garantisca Londra sulla natura “temporanea” del backstop: un salvagente cruciale – e chissà poi se sufficiente – per la signora di Downing Street, che oggi avuto dovrebbe sondare al riguardo a Dublino il premier irlandese Leo Varadkar: parte in causa e titolare dell’ultima parola sulla materia in sede Ue. “Resto qui pronta a portare a termine il mio lavoro” ha aggiunto la May annunciando di aver cancellato il suo viaggio oggi a Dublino. Ma la verità è che tutto resta appeso a un filo: il suo governo e l’accordo su Brexit. Tanto da far tornare all’orizzonte l’ombra del ‘no deal’. Un traumatico divorzio senz’accordo che fa paura a molti.