Dopo vent’anni di silenzi, Diego Cugia è tornato con Il Libro Nero con il quale prova a riannodare i fili di un discorso che era rimasto in sospeso. Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora, e nel frattempo qualche ponte purtroppo è pure crollato, e l’analisi del Diego-dj è impietosa: “Vent’anni fa, se avevi un fondo razzista, o se eri una bestia da terza elementare, un po’ te ne vergognavi. Oggi ne sei orgoglioso. Hai tre lauree? Sei un professore, scrivi libri, hai competenza nel tuo settore? Ti accuseranno di essere compromesso col ‘vecchio potere’, colluso con i corrotti, un privilegiato di merda. E questo anche se sei un intellettuale senza soldi e senza lavoro”.
Dopo anni di silenzi esce un nuovo libro di Diego Cugia su Jack Folla, ma nell’Italia di oggi pare non suscitare particolari clamori mediatici.
Mi aspettavo il silenzio assoluto di giornali e televisioni e francamente non ho fatto il minimo passo perché ne parlassero. Nessun critico, nessun direttore ha ricevuto da me la classica copia omaggio o una perorazione, una telefonata, un caffè. In questi anni, però, avevo ricevuto migliaia di email da parte degli ascoltatori di Jack: ‘Perché non torni? Dove sei finito?’. Non hanno capito che l’Italia di 20 anni fa era più libera di quella di oggi. Che l’assenza di Jack non è stata una scelta, ma una condanna a vivere senza un microfono. Per raccontare loro come stanno le cose mi sono pubblicato da solo e ho aperto un canale su YouTube.
Che Paese trova Jack dopo 20 anni? Quali sono le principali differenze?
I mediocri hanno vinto, hanno occupato tutto, come profetizzava Jack Folla. Siamo comandati da un esercito di fronti basse convinte di avere sempre diritto anche se non hanno fatto nulla per meritarsi la poltrona. È una delle più sconvolgenti illusioni ottiche della storia recente. Chi sa è ridotto a tacere, chi non sa sbraita e viene votato. Se questa è democrazia io sono un ingegnere aerospaziale.
“Jack scrive queste pagine di getto in due mesi, dal 29 giugno al 24 agosto”. Il tempo in cui si è insediato il nuovo governo pentaleghista. Cos’è che l’ha spinta a riprendere in mano i fili del passato e riannodarli?
C’è un capitoletto del Libro Nero che s’intitola La scintilla sacra. Inizio raccontando che mio papà mi insegnava da bambino i nomi delle stelle: Vega, Aldebaran, Deneb. Mi sono dimenticato la loro esatta collocazione nel cielo, sono una bestia da terza elementare anch’io, ma non dimenticherò mai la voce di mio padre che tremava dall’emozione e di rispetto per le stelle. Ce l’aveva anche per i vagabondi, gli oppressi e gli uomini fantastici. Quella vibrazione del cuore è l’imprinting, la scintilla sacra. Chi contagia di bellezza i nostri giovani? Perché mai dovrebbero rialzare le loro giovani schiene già curve su smartphone tutti uguali? Nel mio piccolo ho fatto tornare Jack Folla per questo. Per donare ciò che ho ricevuto, ‘segnarli’ come io sono stato segnato. Tutti i libri che ho letto li devo a mio padre e alla sua voce che tremava di commozione per le stelle.
Cosa ha fatto per tutto questo tempo Diego Cugia?
Ma chi se ne frega di questo Cugia. Era benestante è diventato un mendicante. Era famosetto e oggi non se lo ricorda quasi nessuno. Ha avuto una fortuna sfacciata quel tipo: precipitare nel silenzio, nella solitudine, nel nulla. È qui che gli uomini si giocano le grandi partite. Bisogna ringraziare il proprio destino avverso. Non c’è propulsore più potente per slanciarsi verso il cielo. Poi Uno su mille ce la fa come cantava Gianni Morandi. Ma questo, francamente, è indifferente. La partita la vinci se non ti arrendi mai, se ti rialzi dopo ogni caduta, ogni legnata. È meraviglioso.
Il libro caustico e sempre lucido nelle analisi sulla società contemporanea sembra essere una sorta di SOS che questa volta però è Jack Folla a lanciare ai suoi hermanos.
Gli italiani in particolare tendono a riconoscersi in massa in ometti autorevoli, in ‘capitani’ di piccolo corso, in ducetti. Credono di irrobustirsi identificandosi in loro. I ducetti li istigano a schierarsi contro qualcuno o qualcosa, li aizzano in tal senso e sdoganano il loro fascismo interiore, una piaga mai risolta. È l’esatto contrario di quello che dovremmo fare per migliorarci. Assumerci la totale responsabilità del mondo in cui viviamo, soprattutto se non abbiamo colpa, e unirci per contribuire a renderlo migliore, pensando ai figli dei nostri figli e non a noi stessi. Ci vuole una politica spirituale che guardi a fra 50 anni non a fra mezz’ora cosa diranno i social. Ci vogliono le aquile in politica, io vedo solo tordi. Sveglia, fratelli, o ci faremo comandare dai maiali come nella Fattoria degli Animali di George Orwell.
Lei fa spesso riferimento a quella serata al Mattatoio di Testaccio in Roma, quando nel 2002 riuscì a riunire migliaia di fan nonostante la pioggia: le è mai passato in mente di creare un movimento politico?
Sicuro, quella notte ci ho pensato. Ma a far gridare “vaffa” liberatori a tutti, no, mai. È sciocco. La storia ci insegna che quei vaffa lì tornano indietro. Dal balcone di piazza Venezia al finire a testa in giù a piazzale Loreto. Jack, l’Albatro, vola ancora libero. Mi ha detto: ‘Tenetevi le vostre gabbie. Preferisco morire in volo’.
Dei 5stelle scrive: “Quelli che la scatoletta di tonno ora ce l’hanno in testa come un cappello”. Cosa ne pensa del fatto che molti degli albatros hanno trovato in lui l’uomo della Provvidenza?
Beppe Grillo è un grande comico, conosce le masse e sa come esaltarle. Il suo movimento è stato anche salutare, ha dato una spallata al sistema, ha portato tanti giovani in Parlamento, è stato fantastico. Ma il potere è una brutta bestia. Quando ho visto Luigi Di Maio scendere da un taxi col portabiti di Cenci a Campo Marzio, il sarto di Cesare Previti e del generone romano che bazzica in Parlamento, il sogno è finito. Allearsi con Salvini, accettare la chiusura dei porti, rimangiarsi le promesse fatte in campagna elettorale? Maledetti. Mi avete fatto rimpiangere perfino la Dc e Kossiga che, da ragazzo, scrivevo sui muri con la kappa. Ma soprattutto mi manca l’intelligenza e lo stile di Enrico Berlinguer. Anche se l’ho votato una volta sola a 18 anni, mai stato comunista. Ma quelli erano statisti. Erano pochi già allora, oggi sembra non essercene rimasta traccia. Ma se ne stiamo parlando, vuol dire che, in qualche culla di un paesino sperduto, sta rinascendo un nuovo Antonio Gramsci. Io ci credo.
Non mancano le analisi impietose su Matteo Salvini e su Donald Trump: trova in loro dei punti in comune?
Salvini è un dittatore da operetta, Trump da game show.
Cosa le piacerebbe fare ora che è tornato ad avere un contatto con il suo pubblico?
Una cosa molto semplice, fare la radio.
Qual è il messaggio che vuol lanciare ai suoi albatros?
Volare da soli e controvento. Seguite la vostra intuizione, non il branco. E non alzate mai un muro. I muri vanno abbattuti, tutti.