Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, a processo davanti al tribunale di Arezzo per la morte della 20enne genovese Martina Rossi, precipitata dal sesto piano dell'hotel Santa Ana a Palma di Maiorca il 3 agosto del 2011, sono stati riconosciuti colpevoli di morte come conseguenza di altro reato e tentata violenza di gruppo. La difesa ha sempre sostenuto che la ragazza si suicidò
Sono stati condannati a 6 anni di reclusione Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, a processo davanti al tribunale di Arezzo per la morte della 20enne genovese Martina Rossi, precipitata dal sesto piano dell’hotel Santa Ana a Palma di Maiorca il 3 agosto del 2011. I due, entrambi 27enni, sono stati giudicati colpevoli dopo 8 ore di camera di consiglio. Le accuse contestate agli imputati erano morte come conseguenza di altro reato e tentata violenza di gruppo. Il procuratore capo Roberto Rossi aveva chiesto una condanna a sette anni di reclusione: tre anni per la morte come conseguenza di altro reato e quattro per la tentata violenza di gruppo.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, al ritorno dalla notte in discoteca, la ragazza sarebbe salta in camera dei due giovani di Castiglion Fibocchi, in provincia di Arezzo, perché nella sua camera le amiche erano in compagnia degli altri due ragazzi della comitiva di aretini e avevano formato due coppie. Secondo il pm, la giovane sarebbe stata oggetto di un tentativo di stupro, come proverebbe il fatto che i pantaloncini le erano stati sfilati e non furono mai ritrovati, e come proverebbero i graffi al collo di Albertoni.
Poi, sempre secondo il pm e i legali della famiglia Rossi, Martina avrebbe tentato una fuga disperata: vide il muretto sul balcone che separava la stanza dei due giovani da un’altra e lo considerò la via di fuga ideale, ma in preda alla paura successiva all’aggressione e tradita dalla scarsa vista, poiché era miope e non aveva gli occhiali in quel momento, perse l’equilibrio e cadde nel vuoto, quasi sulla verticale del muretto stesso. Il muretto che separava le due camere, un divisorio di circa un metro di altezza e quaranta centimetri di larghezza, secondo i legali della difesa, Stefano Buricchi e Tiberio Baroni, avvocati rispettivamente di Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, sarebbe stata, invece, la prova del suicidio della giovane perché – questa la tesi sostenuta durante tutto il dibattimento – poteva essere scavalcato con facilità, e se Martina fosse voluta scappare, avrebbe potuto farlo senza grosse difficoltà.
Per gli avvocati della difesa non esisterebbero prove della tentata violenza sessuale e la ragazza si sarebbe volontariamente dal balcone della camera al sesto piano dell’hotel, come evidenziato, sempre secondo loro, dalla testimonianza di Francesca Puga, cameriera dell’albergo, che vide Martina cadere e riferì che la giovane non urlò nel precipitare, che era sola e che nessuno la inseguiva. Inoltre, i due legali della difesa hanno sottolineato che l’inchiesta dei magistrati spagnoli si era chiusa senza ombre per i ragazzi, mentre la situazione psicologica di Martina era fragile con precedenti gesti autolesionistici.