I recenti roghi di magazzini stipati di rifiuti hanno allarmato i cittadini. Per raggiungere gli obiettivi europei di economia circolare, occorre una rete di impianti di trattamento in grado di assorbire i flussi crescenti delle raccolte differenziate.
di Donato Berardi e Nicolò Valle (Fonte: lavoce.info)
Così l’Italia tratta i suoi rifiuti
Negli ultimi mesi i roghi di magazzini stipati di rifiuti hanno riportato al centro del dibattito politico la questione degli impianti per il riciclo.
Ora l’annuale Rapporto Ispra sui rifiuti urbani fotografa alcuni importanti novità. Nel 2017 la produzione di rifiuto è diminuita. La raccolta differenziata è arrivata al 55,5 per cento, in aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2016. Anche il riciclaggio è salito al 43,9 per cento. Ne consegue la riduzione del volume di rifiuto conferito in discarica (-6,8 per cento) e incenerito (-3 per cento).
Questi dati lasciano ben sperare perché indicano che la gestione dei rifiuti urbani sta cambiando; e che la direzione di marcia è coerente con la gerarchia dei rifiuti.
Vi sono tuttavia altri dati che sono in deciso contrasto con le raccomandazioni dell’economia circolare e sostenibile. Quasi un quarto dei rifiuti urbani raccolti (il 23 per cento) continua a trovare collocazione in discarica. Si tratta di 6,9 milioni di tonnellate, a cui si aggiungono circa 400mila tonnellate di rifiuti urbani esportati nei paesi del Nord Europa.
Di queste, una quota prevalente origina dalle regioni del Mezzogiorno. Ma l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi non è raggiunta neanche in alcune regioni del Nord (Liguria, ad esempio).
Come spesso accade l’Italia riesce a racchiudere insieme le eccellenze in ambito europeo (la città metropolitana di Milano, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Lombardia) con regioni, come la Sicilia, dove gli indicatori di sostenibilità ambientale del ciclo dei rifiuti sono più simili a quelli della Grecia.
È evidente che la pianificazione regionale, così come è stata impostata sinora, rappresenta spesso uno strumento di matrice più politica che tecnica, fondata su stime assai di sovente ottimistiche, non in grado di sostenere un percorso industriale coerente con l’autosufficienza.
Gli obiettivi del pacchetto economia circolare
Per raggiungere gli obiettivi indicati dalle direttive Ue che chiedono di raggiungere il 65 per cento di riciclaggio al 2035 e di scendere sotto al 10 per cento di rifiuti smaltiti in discarica, occorre un mix di politiche coerenti con la gerarchia dei rifiuti europea, che superino i tanti limiti delle pianificazioni regionali.
Lo scenario qui proposto, seppur ambizioso, offre uno spunto sul percorso da intraprendere nei prossimi anni.
Alla sua base ci sono tre assunzioni: 1) la produzione di rifiuti urbani rimane ferma ai livelli correnti, in esito alle politiche di prevenzione e al rinforzo della responsabilità estesa del produttore; 2) la raccolta differenziata raggiungerà il 75 per cento nel 2035; 3) la dotazione di impianti rimarrà costante.
Assumendo un’ipotesi di intercettazione della frazione organica pari a 140 kg/ab/anno, un valore ambizioso ma già superato da alcune delle migliori realtà del paese, si giungerà nel 2035 a un fabbisogno residuo di trattamento della frazione organica (Forsu) di circa 2,3 milioni di tonnellate/anno.
Per soddisfare il fabbisogno di trattamento che avremo da qui ai prossimi 20 anni vi sarebbe il bisogno “impellente” di avviare 53 nuovi impianti di digestione anaerobica, di cui 36 da realizzare nel Mezzogiorno e nelle Isole.
Tabella 1
Nel percorso di crescita delle raccolte differenziate, resta comunque un fabbisogno di trattamento della frazione residua del secco indifferenziato (Rur). A parità di capacità impiantistica, nel 2035 sarà di circa 1,7 milioni di tonnellate in più di rifiuto urbano indifferenziato da smaltire.
Se si mutua una declinazione del principio di autosufficienza su base di area geografica (Nord, Centro, Sud, le due Isole maggiori), da qui ai prossimi venti anni il deficit impiantistico richiederebbe la realizzazione di quattro nuovi impianti per il recupero di energia, due di taglia grande, collocati in Sicilia e Campania, e due di taglia media, in Sardegna e nel Centro Italia, al servizio di Umbria, Marche e Lazio.
Tabella 2
Occorre una Strategia nazionale per l’ambiente
La violazione di una o più delle generose assunzioni che sono alla base delle quantificazioni proposte comporta un incremento del fabbisogno di trattamento.
Infatti:
– qualora la produzione del rifiuto dovesse crescere in linea con il Pil o i consumi, vi sarebbe un fabbisogno aggiuntivo di trattamento della Forsu per 1,7 milioni t/anno e uno della Rur di 2 milioni t/anno;
– se gli impianti di incenerimento oggi attivi e di cui si è annunciata la chiusura dovessero effettivamente chiudere, vi sarebbe un fabbisogno aggiuntivo di 800 mila t/anno;
– se gli scarti delle raccolte differenziate dovessero rimanere quelli attuali vi sarebbe un fabbisogno aggiuntivo di incenerimento di 2,2 milioni t/anno.
Le conseguenze sarebbero emergenze, roghi spontanei e ordinanze urgenti e contingibili destinate a protrarsi, al pari dalla dipendenza dall’apertura di nuove discariche.
Affinché le ipotesi non rimangano auspici è necessario un impegno per:
– prevenire la produzione di rifiuto (attuando la responsabilità estesa del produttore, disciplinando i sottoprodotti, promuovendo il riuso e così via);
– dotarsi di impianti per il riciclaggio coerenti con lo sviluppo delle raccolte differenziate;
– incentivare il riciclaggio, sostenendo l’industria del riciclo e il reimpiego delle materie prime seconde nei processi produttivi.
Si tratta di passare ai fatti e di tradurre le ipotesi nelle azioni di una “Strategia nazionale in materia ambientale” che sostenga la gestione industriale, capace di realizzare gli investimenti e gli impianti necessari al perseguimento degli obiettivi del pacchetto economia circolare.
L’alternativa è abituarsi a convivere a lungo con emergenze e roghi e ammettere che preferiamo le discariche.