“Presto o tardi i nodi vengono al pettine”, dice un vecchio e saggio proverbio e Trump, che di soldi (non suoi) ne ha già spesi una montagna per “oliare” l’economia (anche se ormai non ce n’era più bisogno), si è trovato con la cassa vuota proprio nel momento più critico della sua presidenza, alla vigilia dell’inaugurazione della seconda metà del suo mandato che dovrà amministrare con un ramo del Congresso nel quale ha perso la maggioranza.
Come è ormai ben noto ai più, il recente voto dello scorso novembre ha sancito il ritorno dei Democratici a guidare la Camera dei Rappresentanti di Washington mentre il Senato è rimasto a maggioranza Repubblicana. È successo quindi quello che già successe a Obama nel 2010, quando perse la maggioranza in una delle due Camere del Congresso e gli toccò di governare cercando sempre (e trovando quasi mai) l’accordo con i rivali della “destra” americana per far uscire dalla crisi il Paese dopo il disastro finanziario del 2008. Si tratta però di una situazione che molti presidenti americani hanno dovuto affrontare e che ha consentito di mettere in evidenza la loro capacità di negoziare accordi coi rivali nell’interesse del Paese e della popolazione. Ma per Trump è proprio la cosa, non l’unica, ma certamente quella che, per il suo temperamento (e le sue cattive abitudini), proprio non gli riesce nemmeno un po’.
Se ne è subito visto la prova l’altra sera quando, incontrando nella Sala ovale della Casa bianca Nancy Pelosi e Chuck Schumer – leader democratici – assistito solo dal suo (evanescente) vice Mike Pence, ha cercato di convincere i due rivali politici ad aprire i “cordoni della borsa” (cioè alzare il tetto di bilancio della “spesa” americana) per consentirgli di proseguire nei suoi faraonici (letteralmente) progetti coi quali vorrà essere ricordato, tra i quali il più evidente è senza dubbio il mega “Muro”, lungo migliaia di chilometri, che lui vuole a tutti costi costruire al confine col Messico allo scopo di garantire la sicurezza dei confini nazionali “minacciati” dalle invasioni dei migranti provenienti specialmente dai confini Sud degli Stati Uniti.
La cosa ridicola (ma purtroppo è invece molto seria) è che lui pretende di far pagare ad altri le sue fisime megalomaniache. Coi messicani ci ha provato, ma il governo messicano (giustamente!) non ha nemmeno discusso la cosa. Poi ci ha provato un anno fa (e all’inizio di quest’anno) col suo stesso Congresso, a maggioranza repubblicana, ma il contemporaneo progetto di abbassare le tasse a tutti (soprattutto ai ricchi come lui) insieme ad altri mega stanziamenti per la difesa del territorio (senza che nessuno realmente lo minacci) e il sostegno all’economia (che,ripeto, ormai non ne aveva alcun bisogno) avevano già prosciugato la sua disponibilità di cassa, che i suoi amici della maggioranza repubblicana avevano subito generosamente provveduto a restaurare (semplicemente aumentando il debito che ricade su ogni contribuente) alzando per lui il tetto di spesa (che invece ad Obama, certamente più equo di lui nella distribuzione della ricchezza, cercavano sempre di negare).
La “festa” per Trump però adesso è finita, perché lo scorso mese di novembre gli elettori americani hanno stabilito che a decidere sulle spese non saranno più i repubblicani ma i democratici, che ora hanno una solida maggioranza nella Camera dei Rappresentanti. Per il momento la situazione è ancora “fluida”, nel senso che i nuovi eletti entreranno nel Congresso a gennaio, ma se il presidente riuscisse a far approvare nuovi limiti dalla sua maggioranza prima di fine anno, il problema sarebbe risolto. Solo che lui, come abbiamo già evidenziato, è grande solo quando può estendere al massimo il suo superbo decisionismo. Quando è costretto a trattare emergono tutti i suoi limiti, di uomo oltre che di presidente. Al punto che (come riporta il New York Times) in conclusione dei “tira-molla” della trattativa con la Pelosi per farsi capire dai suoi rivali ha detto “We can go two routes with this meeting: with a knife or a candy” (Possiamo prendere due strade in questa trattativa: quella del coltello o quella della caramella) che non sembra proprio un linguaggio da leader massimo di una grande nazione democratica.
Quindi il meeting si è concluso con un Trump chiaramente a disagio ma incapace di trovare argomenti utili alla trattativa (poteva riprendere la vecchia offerta dei democratici di far passare fino a 25 miliardi su un preventivo di 50) per il muro, in cambio di una politica più umana verso i “dreamer” (i giovanissimi illegali entrati clandestinamente negli Usa, o nati da genitori clandestini, ora lasciati in un “Limbo” federale in attesa di una decisione che non arriva mai). Ma lui non può far vedere di cedere, con nessuno, tantomeno con una donna. Si avvicina così la data (il 21 dicembre) nella quale la cassa degli Stati Uniti potrebbe davvero chiudere per mancanza di denaro, e migliaia di lavoratori pubblici, a libro paga del governo, potrebbero essere lasciati a casa senza soldi proprio durante le feste natalizie. Ma Trump non si lascia impietosire e giura che è pronto a tutto pur di difendere i confini del suo Paese (da poche migliaia di bambini clandestini?).