Le fanfare pre-elettorali sono state silenziate, i proclami del contratto di governo – oggetto delle prossime puntate di Chi l’ha visto? – e gli uomini del governo del cambiamento sono scomparsi dai radar mediatici che affrontano il tema. Questo è lo status quo della grande battaglia promessa dal governo giallo-verde contro la malafinanza. L’unico strumento finora utilizzato per calmierare la delusione dei cittadini che il 4 marzo hanno espresso il loro voto a favore della Lega e del M5s è stata la dilazione. Probabilmente avranno letto il bellissimo e divertente libricino di Friedrich Dürrenmatt, lo scrittore e drammaturgo svizzero che nel 1979 scrisse la commedia La dilazione.
Il messaggio dell’antipatico ma geniale Dürrenmatt è semplice: osservando gli ultimi giorni di vita del Generalissimo Francisco Franco, dittatore e capo del regime franchista in Spagna per 36 anni, si scopre che tra politici, prelati ed eredi al trono della monarchia – che forse sarà restaurata – una schiera di medici deve tenere in vita il dittatore tra atroci sofferenze, dilazionando il suo trapasso, per permettere a Sua eccellenza di fare le proprie mosse per trovare una soluzione alla perpetuazione del potere. Il potere quindi non può morire: arriva a mentire sulla sua stessa morte pur di sopravvivere. Basta che ci sia l’ignoranza, un popolo disposto a bere il nettare della menzogna e dei buoni amministratori del falso. Il problema è proprio questo: gestire la menzogna. Questa è la chiave del potere moderno, la fucina dalla quale scaturisce il nuovo potere, come se un governo – quale che sia – debba essere forgiato dalla panzana.
Ricapitolando: nulla (finora) è stato fatto sul tema della tutela dei cittadini-risparmiatori. Basta chiederlo ai rappresentanti delle associazioni dei risparmiatori truffati delle banche fallite, che hanno ricevuto tanti inviti a sedersi ai “tavoli” senza mai ricevere in cambio qualcosa in più di una promessa per la modifica della prima versione del provvedimento. Provvedimento che, contrariamente a quanto dichiarato in campagna elettorale, prevedeva solo rimborsi parziali ed era praticamente una fotocopia delle disposizioni dei precedenti governi bancocentrici.
Nulla (finora) è stato fatto sul tema della riforma delle banche di credito cooperativo, che sono state accontentate con una proroga formale di pochi mesi che ora sta per scadere. Nel frattempo le Bcc stanno già facendo le assemblee dei soci per deliberare le adesioni ai maxi-gruppi senza che nulla sia stato comunicato ai soci (che ricordiamo sono essenzialmente agricoltori, allevatori, piccoli commercianti e artigiani), che stanno per perdere il diritto di recesso e di riavere indietro i soldi delle quote sottoscritte.
Nulla (finora) è stato fatto sul tema della maggiore responsabilizzazione del management bancario e delle autorità di controllo, primi responsabili di eventuali dissesti, anche attraverso l’inasprimento delle pene esistenti per fallimenti dolosi. Anzi, alle banche sono arrivati due bei regali per Natale: la deroga del rispetto dei principi contabili internazionali Ifrs 9 e la sterilizzazione dell’effetto spread, che legittimano il falso in bilancio per gli istituti di credito.
Nulla (finora) è stato fatto sul tema dei parametri dei protocolli di rating di Basilea, che a oggi creano grave pregiudizio alla sopravvivenza e allo sviluppo del tessuto della micro impresa italiana. Sarà forse solo un caso che, secondo quanto riportato dall’ultimo bollettino Bankitalia, i prestiti bancari alle imprese ad agosto 2018 sono diminuiti di circa 40 miliardi di euro rispetto alla consistenza di maggio.
Nulla (finora) è stato fatto per la creazione della Banca per gli investimenti, lo sviluppo economico e delle imprese italiane, che sarebbe dovuta nascere per effetto di un’apposita legge e che avrebbe dovuto svolgere attività di secondo livello per le piccole e medie imprese, agendo (anche come gestore del Fondo di Garanzia) in cofinanziamento con il sistema bancario, soprattutto con le banche di medie e piccole dimensioni radicate sul territorio, a supporto delle Pmi.
Se incrociamo tre dati – la contrazione del credito di cui al punto precedente, una crescita nulla del Pil nell’ultimo trimestre e l’avanzo finanziario delle imprese (in surplus dalla fine del 2012) che è diminuito nel corso del 2018 – si capisce che gli investimenti sono stati essenzialmente autofinanziati dalle stesse imprese. E quali sono le imprese che hanno cash flow sufficiente per sostenere, senza ricorrere al credito bancario, la spesa per investimenti? Sicuramente non le piccole imprese. Serve altro? Quanto dobbiamo ancora aspettare?