Giuseppe Conte, Matteo Salvini e il vicepremier M5s si troveranno a Palazzo Chigi "per affrontare alcuni temi dirimenti", come spiegavano ieri sera fonti del governo. Il ponte tra la sponda legista e quella pentastellata sembra la riforma della Costituzione annunciata dal leader 5 Stelle. La corsa contro il tempo è iniziata: mancano 16 giorni all’esercizio provvisorio e l’esame in commissione a Palazzo Madama non è ancora iniziato
Un vertice per ricomporre le tensioni che agitano la maggioranza e trovare la quadra della manovra. Sarà “per affrontare alcuni temi dirimenti” come spiegavano ieri sera fonti del governo, che questa sera Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini si troveranno a Palazzo Chigi con il ministro dell’Economia Giovanni Tria, i sottosegretari Garavaglia e Castelli e il titolare dei rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro. Un summit allargato in cui si toccherà la carne viva della legge di bilancio, necessario dopo gli scontri consumati nelle ultime ore tra le due anime dell’esecutivo sull’ecotassa, preceduto dall’ultima stoccata proveniente dal fronte leghista: “Il reddito di cittadinanza non c’è – ha detto il sottosegretario leghista Armando Siri a La Stampa – impossibile partire ad aprile”.
La corsa contro il tempo è iniziata. Mancano 16 giorni all’esercizio provvisorio e l’esame in commissione a Palazzo Madama non è ancora iniziato. Il testo è bloccato dalla guerra di nervi che M5s e Lega si stanno facendo, l’uno per costringere l’altra a mollare sulle rispettive misure bandiera. Per evitare la procedura di infrazione mancano 5 miliardi e né i 5 Stelle vogliono modificare i programmi sul reddito di cittadinanza, né il carroccio intende fare passi indietro sulla quota 100. Salvini non ne vuole sapere – racconta chi gli ha parlato – di ulteriori concessioni e limature a misura annunciata per superare le riforma delle pensioni firmata da Elsa Fornero. Rispetto alle stime iniziali, è il ragionamento, si contano due miliardi di risparmi nel 2019 e tanto deve bastare. Soprattutto, il vicepremier leghista non è disposto a caricarsi un peso superiore a quello dell’alleato per fra quadrare i conti con l’Europa.
Alla fine, con molta probabilità, per evitare di sforare le tempistiche previste finirà con un maxiemendamento che il governo porterà in Senato tra martedì e mercoledì, in piena zona Cesarini. Ma proprio l’esercizio provvisorio, che nei fatti porta a congelare le spese e che in genere viene guardato con timore e sospetto, sarebbe stato uno scenario che il segretario della Lega, si racconta in ambienti della maggioranza, non avrebbe esitato ad utilizzare come minaccia nei confronti dell’alleato in queste ultime ore. Alleato che, per parte sua, non vede margini per rivedere al ribasso il reddito di cittadinanza. “Io il contratto l’ho firmato con Salvini e nel contratto c’è il reddito di cittadinanza”, replicava ieri il leader M5s riferendosi ai dubbi espressi dal sottosegretario leghista alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. Ufficialmente Salvini era corso a rassicurarlo – “Quello che c’è nel contratto io lo rispetto” – ma oggi dal fronte leghista arriva un nuovo affondo.
“Il grande equivoco è parlare di una cosa che ancora non c’è e cioè il reddito di cittadinanza – spiega Siri in un’intervista al quotidiano torinese – nella legge di bilancio stiamo predisponendo dei fondi, ma la discussione è tutta da fare, e la faremo a gennaio con i decreti attuativi”. Per il sottosegretario, quindi, fatti concreti su questo fronte non ci sono ancora. “del resto – prosegue siri – l’erogazione è prevista da aprile, ma a quella data i centri per l’impiego non saranno pronti. Dunque se si vuole partire bisogna trovare una strada alternativa“. Che può essere quella prevista da una proposta del Carroccio, secondo cui “il reddito sia erogato dalle imprese a chi intraprende un periodo di formazione in azienda”. E al giornalista che gli fa notare che non si tratterebbe più del reddito di cui il M5s parla da anni Siri replica: “Le cose possono anche evolvere”.
“Mi fido nel fatto che chi è al governo voglia realizzare quello che abbiamo scritto nel contratto“, scrive Di Maio in un post apparso questa mattina sul Blog delle Stelle. “E’ il momento di essere compatti, di non cedere alle strumentalizzazioni e alle provocazioni“, argomenta il vicepremier M5s, secondo cui questa manovra rappresenterà l’inizio della svolta rispetto al passato. Un passato in cui i precedenti Governi hanno preferito strizzare l’occhio ai soliti noti, chiedendo invece sacrifici ai cittadini”. “Noi non lo abbiamo fatto e, per la prima volta, siamo davanti ad una manovra che non fa pagare il popolo: per questo la criticano”.
Questa sera sul tavolo a Palazzo Chigi ci sarà ovviamente anche l’ecotassa, né la Lega né i Cinquestelle sembrano per ora intenzionati a fare un passo indietro. Ancora oggi Salvini ha messo in chiaro: “Non ci sarà nessun tassa sulle nuove auto. Non c’è nel contratto di governo. Posso dirlo sia a nome mio e sia del M5s che non ci sarà nessuna nuova tassa sulle auto”, ha detto il ministro dell’Interno e vicepremier a margine del suo intervento alla scuola di formazione politica della Lega. “Un conto è aiutare le auto non inquinanti, un conto è penalizzare chi non può permettersi queste nuove auto che costano decine di migliaia di euro”, ha precisato.
“Oggi pomeriggio torno a Roma perché siamo alla settimana decisiva – ha detto ancora Salvini – Sono convinto che con Giuseppe e con Luigi porteremo a casa un risultato che sarà di esempio anche a tutti gli altri governi e popoli europei. Volere è potere. Non chinare il capo, non calare le braghe, non andare in giro con un cappello in mano. Questo ho promesso di fare e vogliamo cominciare a fare”. L’intendimento di tutti pare quello di superare le divisioni (“Provano a farci litigare ma una telefonata allunga la vita. Quando c’è un’intervista che puzza, fai un colpo di telefono a Di Maio e Conte e tutto è più semplice di quello che sembra”, assicura Salvini) e arrivare all’accordo, quindi. E il ponte tra la sponda legista e quella pentastellata sembra la riforma della Costituzione annunciata da Di Maio. “Entro il 2019 verrà varata una riforma costituzionale per dimezzare il numero dei parlamentari”, ha confermato il segretario della Lega – tutti gli impegni che abbiamo preso con gli italiani per una politica migliore che costa meno diventeranno realtà”.
Senza contare gli allarmi che arrivano dal mondo delle imprese, tanto caro al Carroccio. Secondo la Cgia di Mestre, ad esempio, la legge di Bilancio costerà alle aziende italiane la bellezza di 4,9 miliardi nel 2019, di cui 3,1 miliardi graveranno sulle imprese non finanziarie e 1,8 sugli istituti di credito e le assicurazioni. “Grazie all’aumento della deducibilità dell’Imu sui capannoni, al ripristino delle detrazioni sulla formazione 4.0 e all’impegno di abbassare i premi Inail, alla Camera la maggioranza ha diminuito, rispetto al testo uscito da Palazzo Chigi, da 6,2 a 4,9 miliardi l’aggravio sulle imprese provocato dalla manovra. Uno sforzo importante, ma non ancora sufficiente“, spiega il coordinatore, della Cgia, Paolo Zabeo. Che avvisa: “Le aspettative degli imprenditori, in particolar modo in materia fiscale, sono state ampiamente disattese“. Un allarme che Di Maio e Salvini non possono ignorare.