L’odissea di Theresa May verso il voto a Westmister sull’accordo per la Brexit sembra non avere fine. Alla fine del dibattito tenuto questo pomeriggio alla Camera dei Comuni il leader del Labour Jeremy Corbyn ha presentato una mozione di sfiducia contro la premier. I commentatori sottolineano che la mozione non è contro il governo ma solo contro la primo ministro e non sarà legalmente vincolante, anche se avrà un forte valore politico. La motivazione: “Rimandare il voto sull’intesa a gennaio è inaccettabile“. “Il governo è disorganizzato e caotico – ha detto il leader laburista ai Comuni – per questo il primo ministro scappa dal voto del Parlamento, perché non ha più il sostegno dell’esecutivo”. Il 12 dicembre la May aveva superato indenne la prova della fiducia sulla sua leadership nel Partito conservatore chiesta da un nutrito numero di esponenti Tory.
Nel pomeriggio il primo ministro si era presentata alla Camera dei Comuni e aveva ribadito l’intenzione di non convocare subito il voto sull’accordo raggiunto dal suo governo con Bruxelles per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. “Torneremo a discuterne il 7 gennaio e lo voteremo la settimana successiva”, ha detto la premier. Quando l’intesa farà ritorno a Westminster dopo la pausa natalizia, ha spiegato il primo ministro, ci sarà “un adeguato numero” di giorni per il dibattito. Secondo alcuni media, le giornate dedicate alla discussione potrebbero essere cinque e quindi le operazioni di voto potrebbero iniziare lunedì 14 gennaio.
Ai Comuni la May ha riferito, riportando gli scarsi risultati ottenuti nel Consiglio Ue della scorsa settimana, che i leader dell’Ue le hanno assicurato che non vogliono attivare il backstop, la clausola dell’accordo di uscita dall’Unione che suscita le maggiori polemiche oltremanica. Si tratta della soluzione immaginata per impedire il ritorno di una frontiera fisica tra l’Irlanda e la provincia britannica dell’Irlanda del Nord. Il backstop preoccupa molti nel Regno Unito perché prevede che l’Ulster rimanga nel mercato unico e la creazione di un “territorio doganale unico” che inglobi l’Ue e il Regno Unito dopo la transizione post Brexit, qualora prima della fine del periodo non si trovasse un’intesa sulle future relazioni fra Londra e Bruxelles, al fine appunto di evitare il ritorno di una frontiera fisica fra le due Irlande.
In ogni caso, ha proseguito la May, le rassicurazioni ottenuto da Bruxelles non sono sufficienti. Per questo la premier ha spiegato che sta lavorando per “ulteriori rassicurazioni politiche e legali” sul backstop e che, dalla discussione con i partner Ue, è emerso che “ulteriori chiarimenti sono possibili”. May ha ammesso di avere avuto scambi “vigorosi” con i leader Ue, ma “non mi scuso del fatto di essermi schierata per gli interessi di questa Camera”, ha aggiunto la May. Che è tornata a escludere la possibilità di un secondo referendum: “Significherebbe tradire la fiducia del popolo britannico e dividere il Paese ulteriormente in un momento in cui dobbiamo lavorare per unirlo”.
Sull’altro fronte, intanto, anche l’Unione si muove e annuncia linee guida che gli Stati membri saranno chiamati a seguire in caso di “no deal“, ovvero nell’eventualità che il Parlamento britannico non ratifichi l’accordo e il Regno Unito lasci l’Ue senza un’intesa. Per evitare il caos nei cieli europei mercoledì Bruxelles pubblicherà un regolamento comune per garantire una connettività di base del trasporto aereo e la relativa sicurezza. Tra le misure, già annunciate dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker al vertice dei leader della settimana scorsa, c’è anche un quadro di norme per regolare il trasporto delle merci su gomma. Inoltre si prevede il proseguimento del programma di cooperazione transfrontaliera tra l’Irlanda e il Regno Unito PEACE, che ha come principale obiettivo la coesione tra le comunità coinvolte nel conflitto nell’Irlanda del Nord e nelle regioni di confine dell’Irlanda.