“Bimbi migranti in attesa al confine tra Messico e Stati Uniti con i numeri marchiati sul braccio”. Riporto testualmente la prima riga del lancio Ansa. Guardatela bene, rileggetela se volete: non c’è un aggettivo, mezzo attributo, eppure queste 17 parole si inchiodano metalliche e disumane. Termini inermi, che agganciati uno dietro l’altro formano il recinto dove viene confinata la memoria dell’umanità, la memoria e l’umanità. Nessuna di quelle parole è colpevole, però insieme, indifferenti le une alle altre, concorrono senza accorgersene al racconto di un crimine.
Il mondo sta dimenticando. Rigurgiti, oscurantismo e veemente ignoranza: è in corso, e mi appare innegabile, una battaglia di valori. Feroce e ferrea, la stiamo perdendo. Perché nel momento in cui anche un solo uomo, di fisionomia qualsiasi e nazionalità qualunque, scrive dei numeri sulla pelle di un bambino in coda davanti a un cancello e non ricorda il significato di morte del suo gesto, noi perdiamo. Forse la divisa si chiama così perché, invalicabile, divide la funzione sociale di un individuo dalla sua umanità. Come se quell’uomo non fosse mai stato figlio, come se non avesse mai figli. La sua mano non s’è fermata.
Parola dopo parola, silenzi incuranti e indignazione apparente, stiamo scrivendo nuove pagine di vergogna senza avere davvero coscienza del capitolo di storia che verrà fuori. Forse anche 80 anni fa andò così, forse erano semplicemente tutti distratti. E per questo tutti complici. Ci sono pagine del libro dell’umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria.