Concorso illegittimo, presunti aggravi di spesa, persino un pizzico di ingratitudine: il mondo delle coop e delle imprese si rivolta contro il governo. Era prevedibile: l’emendamento firmato dal deputato Alessandro Fusacchia (eletto in quota +Europa, ex capo di gabinetto del Miur con Stefania Giannini) e sostenuto dal Movimento 5 stelle (è uno dei cavalli di battaglia di Luigi Gallo, presidente della Commissione cultura) prevede infatti di internalizzare i lavoratori e chiudere l’era delle cooperative e degli appalti per la pulizia delle scuole. Un mercato da centinaia di milioni l’anno, che ora sta per svanire. Così i beneficiari del vecchio sistema si lanciano al contrattacco, con un comunicato congiunto di Anip-Confidustria, Legacoop Produzione e Servizi e Confcooperative Lavoro e Servizi (le sigle che raccolgono le maggiori ditte del settore): “L’emendamento del governo non convince per molti motivi: da un lato riteniamo che l’assunzione del personale Ata da parte pubblica provocherà un enorme dispendio di risorse, dall’altro non migliorerà i servizi resi alla comunità”.
GUERRA SUI COSTI: A REGIME ALMENO 330 MILIONI L’ANNO – Per il governo l’intervento sarà a costo zero, ma le associazioni di categoria non sono d’accordo: “Dai nostri calcoli l’internalizzazione causerebbe un aggravio di 450 milioni e non il risparmio paventato”. In realtà le cose non stanno proprio così: la misura costerà complessivamente più dei 280 milioni di euro stimati nella vecchia proposta di legge del Movimento 5 stelle da cui prende spunto l’emendamento, ma non così tanto. Come spiegato dalla relazione tecnica, i posti “accantonati” da coprire sono 11.851, per uno stipendio di 24.876 euro a lavoratore: la spesa totale è dunque di 294 milioni di euro l’anno, ma solo all’inizio. Dal 2028, quando scatterà il primo gradone di anzianità, salirà a 319 milioni. Poi bisogna aggiungerne altri 10 milioni per l’acquisto di “materiali di pulizia”, e ulteriori 49 milioni (questi una tantum) per la procedura concorsuale. A regime, insomma, il costo sarà di almeno 330 milioni di euro l’anno. In teoria, più della somma accantonata per legge per finanziare gli appalti, ma a riguardo va fatta una specifica: la cifra in bilancio (280 milioni di euro) negli ultimi anni non è mai stata sufficiente, tanto che il governo è sempre stato costretto a rabboccarla periodicamente, anche varando ulteriori programmi, come il piano “Scuole belle” di Matteo Renzi per cui in tre anni sono stati spesi altri 514 milioni. Alla fine dei conti, dunque, lo Stato spenderà di meno (o comunque non di più) del passato: semmai il problema è rappresentato da caricare sul bilancio ministeriale un pesante onere fisso in più.
I DUBBI SUL CONCORSO PER LA STABILIZZAZIONE – Più fondati appaiono invece i dubbi sulle modalità di assunzione: il testo, pur non citando esplicitamente gli ex Lsu (lavoratori socialmente utili), si rivolge a chi ha lavorato “senza soluzione di continuità” (cioè sempre) nelle scuole dal ’99 ad oggi. Una platea ben definita, forse fin troppo: si tratta di fatto di trasformare un concorso pubblico in una stabilizzazione vera e propria, di lavoratori che per altro non hanno alcun titolo o qualificazione specifica. “La modalità di assunzione individuata è quantomeno di dubbia costituzionalità”, attaccano le associazioni. Qualche incertezza anche sui numeri: i posti “disaccantonati” sono 11.800, ma i lavoratori molti di più, 18mila secondo la relazione tecnica, addirittura 24mila secondo i calcoli delle associazione che includono pure gli impiegati nei subappalti. Infatti qui arrivano anche due brutte notizie per i beneficiari: la prima è che molti di loro saranno assunti solo part-time (e senza più la possibilità di arrotondare con altre ore in altri lavori, come accadeva nelle cooperative); la seconda è che nonostante abbiano alle spalle almeno due decenni di servizio (ma nel privato, dunque non computabili ai fini dell’anzianità), entreranno solo col primo contratto, al minimo salariale. Finalmente dipendenti statali, ma a condizioni non proprio vantaggiose.
RIVOLTA SENZA ARMI – Insomma, per le coop la “rivoluzione” del governo è un errore: “L’idea che lo Stato si occupi di tutto, anche di servizi non essenziali, non è una novità, solo un grande passo indietro: al netto di qualche incidente di percorso, le esternalizzazioni hanno dimostrato sul lungo periodo la loro convenienza”, conclude Andrea Laguardia, responsabile di settore di Legacoop (sigla che tra le altre rappresenta anche il colosso Cns, il Consorzio nazionale servizi che si è aggiudicato ben 3 lotti su 13 dell’ultima gara Consip da 1,6 miliardi, poi dichiarata “truccata” dall’Antitrust). “Per vent’anni siamo stati la soluzione per risolvere un problema: per noi è stata un’occasione, ma ci siamo anche fatti carico di un onere sociale. Ora non ci stiamo ad essere scaricati così, siamo pronti a dare battaglia”. La rivolta, però, rischia di avere le armi un po’ spuntate. Per ora i contatti per trovare una sponda in parlamento sono caduti nel vuoto: nessun partito si schiera contro un provvedimento che promette impiego pubblico, nemmeno quelli che fino a ieri erano storicamente vicini al mondo delle coop (infatti l’emendamento è trasversale). Quanto a scioperi, neanche a parlarne: sarebbe interruzione di servizio pubblico, col rischio di perdere anche i soldi degli ultimi contratti. Non resta che sperare che le trattative frenetiche sulla manovra facciano saltare l’atteso provvedimento. Oppure rassegnarsi: dal 2020 finisce l’era degli appalti.
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