Colpire i luoghi frequentati dai cristiani, come le chiese, nel periodo del Natale. Di fatto non ha negato neanche dopo l’arresto, dicendo agli inquirenti: “Se Dio vuole, bisogna ammazzare”. Questa l’idea di Omar Mohsin Ibrahim, il trentenne somalo arrestato dagli investigatori della Digos di Bari. Ne parlava con un interlocutore in una delle tante conversazioni registrate dagli agenti. Stando agli elementi emersi nell’indagine, il trentenne sarebbe affiliato al Daesh e nelle scorse settimane tracciava la distanza tra la Puglia e Roma e con il suo interlocutore parlava insistentemente del numero 27, forse data nella quale andare nella Capitale e commentava: “È buono (se c’è tanta gente)… buonissimo”.
“Impartiva istruzioni sul jihad”
Il gip del Tribunale del capoluogo pugliese ha convalidato ieri il provvedimento di fermo, disposto dalla Direzione distrettuale antimafia. Il giovane è anche noto come Anas Khalil e sui social inneggiava al martirio. Sono poi stati raccolti elementi di fatto circa “l’intenso indottrinamento” operato un altro straniero in corso di identificazione, “al quale impartiva vere e proprie istruzioni teorico-operative sul concetto di jihad armato”.
La sua vita in Italia
Ibrahim era in Italia dal 2016. Prima tappa, la Sicilia, poi l’uomo si è stabilizzato in Emilia-Romagna, a Forlì, ottenendo dall’Ufficio immigrazione il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Solo a dicembre del 2017, è arrivato a Bari dove per qualche mese è stato residente nello Sprar del quartiere San Paolo. Ha lavorato nella raccolta stagionale dei pomodori, nel Foggiano, per poi far rientro a Bari e lavorare come operaio.
Le preghiere in moschea e i profili falsi
Fino a cinque volte al giorno raggiungeva la moschea barese per pregare. Tutti lo conoscevano come un uomo di pace. Eppure dalle sue conversazioni telefoniche è emerso tutt’altro. Utilizzava profili falsi, comunicava via Whatsapp con altri soggetti ora in corso di identificazione. A marzo del 2017 ha postato l’immagine di alcuni martiri che sorridono, fenomeno meglio conosciuto come “bassamat al farah”, ovvero “sorriso di gioia”. Il riferimento è legato proprio alla gioia degli attentatori martiri deceduti in operazioni di guerra o terroristiche ai quali Allah riserverebbe la felicità eterna, permettendo loro l’accesso diretto in paradiso.
Un soldato del Daesh
Sono state le intelligence internazionali ad allertare l’antiterrorismo italiano sulla sua pericolosità. L’uomo è, infatti, considerato un attivista dello Stato islamico in Libia, dove sarebbe stato anche addestrato. Non solo. Ibrahim aveva contatti con rilevanti esponenti della componente Isis in Somalia, alcuni dei quali precedentemente legati al gruppo terroristico somalo di Al Shabaab. Parte di quest’ultimo gruppo terroristico, operante principalmente nel Corno d’Africa e nei Paesi con esso confinanti, è – nel 2015 – confluita nell’organizzazione riconducibile all’Isis attraverso una campagna di reclutamento fatta postando online, un video che invitavano il gruppo somalo a giurare fedeltà ad Abubakr Al Baghdadi, sstorico leader del Califfato.
“Stai attento, ti stanno seguendo”
Ibrahim – secondo gli investigatori – era parte quindi di un’associazione illecita i cui componenti (verosimilmente si tratta proprio dei capi del sodalizio), hanno fatto pervenire all’indagato anche un avviso di pericolo “…ti stanno seguendo in modo impegnativo….non contattare le persone per 7-8 mesi…questo è l’ultimo messaggio che ti mando anch’io…”, seguito da pressanti raccomandazioni, più volte ripetute “….cambia il tuo numero…cambia il posto dove ti trovi adesso…. cambia gmail…”. Troppo tardi: il monitoraggio degli investigatori è proseguito sino al fermo di venerdì.
L’attentato di Strasburgo e la paura per Roma
Il provvedimento di urgenza adottato nasce dalle ultime conversazioni dell’uomo – oltre alle foto in chat del Vaticano – in cui in una conversazione del 9 dicembre parla di Roma, ripetendo spesso il numero 27 come se fosse stata già designata una data per raggiungere la capitale, chissà per quale ragione. Ibrahim discutendo con il suo interlocutore traccia la distanza che intercorre con Bari. E alle perplessità del suo interlocutore (“Però qua non è facile, tu sai com’è la il 24 il 25 Natale.. che sta Papa, e tanta gente è pieno pieno..pieno”), Ibrahim risponde che è meglio così. (“è buono… persone… pericolose è buono per mi… buonissimo…”). E ancora: “Mamma mia, ecco la chiesa (indicando la Chiesa di Roma) “Fra”(fratello) … amdulilà mashallah … quando?”). Subito dopo l’attentato terroristico ai mercatini di Strasburgo, l’uomo invece commentava: “Se uccide i cristiani – da qualsiasi luogo provenga – è nostro fratello”.
Lo scorso 26 novembre, Ibrahim si reca in auto, partendo da Bari verso Forlì, accompagnato da un uomo, non identificato. Le conversazioni nel corso del viaggio sono – secondo gli investigatori – volte all’indottrinamento dell’accompagnatore al quale Ibrahim consiglia di ascoltare, tramite il suo telefono, un audio relativo ad un “nasheed” (preghiera islamica) in cui viene esaltata la figura di un martire. Martirio, che secondo l’ideologia jihadista, rappresenta la più alta espressione purificatrice della fede in Allah attraverso cui si raggiungono le ricompense migliori. Invocazioni e preghiere (sia in lingua somala che in lingua araba), tutte incentrate sul tema del “jihad” nonché sulla necessità di combattere gli ebrei e i cristiani per affermare la supremazia dell’Islam: questo il tenore degli audio ascoltati, spiegano gli investigatori, lungo il viaggio di andata e ritorno.
L’aggressione a Bari
Proprio dopo aver ascoltato una di queste preghiere, lo scorso anno – come lo stesso Ibrahim racconta – l’uomo aveva minacciato un passante dinnanzi alla stazione di Bari con il collo di una bottiglia di vetro. (Ho fatto un casino io … lo scorso anno …l’anno scorso, ho sentito, ho visto un video che hanno detto :” Fate guerra con questi bastardi .. dove state.. in paesi cristiani …”). Ibrahim fermato venerdì scorso dagli investigatori con una valigia in mano, pronto a lasciare il Paese, non ha negato nulla. “Se Dio vuole – ha detto – bisogna ammazzare”.