Politica

Decreto sicurezza, il vero problema del nostro tempo è la diseguaglianza sociale. E Salvini non è la soluzione

Sono i più prestigiosi istituti di ricerca a descrivere la condizione nella quale siamo immersi. La stessa, puntualmente fotografata dall’ultimo Rapporto del Censis, quella di una comunità incattivita e paralizzata dalla paura, pronta “a un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto da così vicino”. Siamo incapsulati nella paura, irriducibilmente convinti che nel “diverso” sia nascosto il nemico da combattere: lo straniero, il povero, il mendicante. E nello stesso tempo in ostaggio di una cattiveria che è entrata nella nostra testa e che si è impossessata dei nostri comportamenti quotidiani.

Grazie al Decreto sicurezza e immigrazione – regalo natalizio confezionato dal ministro Matteo Salvini – abbiamo lasciato alle spalle il precipizio e spiccato il volo. Sarà solo da capire se “le ali di Icaro” resisteranno alla gravità consentendoci di innalzarci nel cielo oppure bruceranno, facendoci precipitare verso l’ignoto. Non ci resta che attendere il 2019 per comprendere se, dove, quando e come atterreremo, con le questioni “immigrazione” e quella della “sicurezza” saldamente ancorate al centro del dibattito politico.

Eppure il panorama socio-economico ci direbbe che le priorità sono altre. Il Pil ristagna, la disoccupazione è in aumento e l’emorragia delle persone che sprofondano nella povertà non sembra arrestarsi: negli ultimi 12 mesi i residenti a rischio povertà sono cresciuti in Italia del 17,5%, 2 punti al di sopra della media Ue. In una beffarda proporzione, se l’asticella dei problemi sale, il numero degli immigrati è in diminuzione. Siamo alla fine di un anno in cui si registrerà il più basso numero di ingresso di immigrati giunti via mare (-75% rispetto al 2017) e nel quale, in 12 mesi, si sono quasi dimezzate le domande d’asilo. In un periodo in cui il calo numerico consentirebbe percorsi virtuosi di inclusione sociale, il nostro Governo decide comunque di smantellare l’accoglienza diffusa dello Sprar, chiudendo le porte a qualsiasi piano di integrazione di successo e cedendo il posto ad un allarme diffuso dal forte appeal mediatico.

Davanti a un simile contesto, porre al centro il fenomeno migratorio e associarlo alla questione securitaria è il grande bluff incarnato dall’ambiguità salviniana, che agevola il lavoro di chi ci governa, assicurando consenso ad azioni di forza e garantendo al “popolo” l’impegno di rispondere alle sue esigenze. Non illudiamoci, il decreto Salvini non ci farà salire il Pil né aumentare l’occupazione, non accrescerà il nostro benessere né garantirà giustizia sociale. Perché è un atto che amplifica un problema e si focalizza sullo stesso senza guardare le cause. Per questo non offrirà alcuna risposta ma genererà nuovi bisogni e rischi concreti rappresentati anche, nel lungo periodo, dalla radicalizzazione delle vittime. Farà anche accrescere a dismisura una insana autostima collettiva e con essa la voglia di rivendicazione verso quell’entità denominata “Europa” diventata la causa di ogni male.

Eppure la maggioranza degli italiani dimostra un appoggio incondizionato dal decreto ministeriale. Semplicemente perché è consolatorio e risponde a un bisogno primario: consegnarci l’illusione che il governo voglia andare al centro della questione delle questioni con risolutezza e determinazione, garantendo azioni che ostentano muscoli. È un gioco antico: spingere alla convinzione che la sicurezza sia minacciata da chi viene da fuori e presentare lo Stato come il garante della tranquillità e vicino alle persone. Ogni qual volta il gioco funziona, la base si sente tranquilla e la popolarità del politico di turno sale alle stelle. Ma l’interesse del ministro Salvini è quello di placare le ansie e assopire le paure o quello, piuttosto, di farle accrescere a dismisura mantenendo un costante stato di insicurezza? “Grandi bugie generano grandi paure, che generano grandi desideri di grandi uomini forti” 2 . Lo scriveva il giornalista Roger Cohen nel 2015 sul New York Times.

Alle porte del 2019, il cittadino italiano e il migrante, l’operaio e l’imprenditore, il mendicante e la casalinga hanno in fondo lo stesso desiderio, uno solo e terribilmente concreto: stare meglio. Urgente è la comprensione che questo traguardo rappresenterà la vera, grande sfida che ci attende e che illusorio e inutile è ricercare il nemico nell’ultimo della fila. Solo insieme, riscoprendo il valore della solidarietà e il senso della comunità, potremo vincere contro la diseguaglianza sociale, il vero cancro del nostro tempo. Che come ogni grave malattia si ha il timore di nominare. Perché il benessere è come i diritti: o è per tutti o per nessuno.