Sono 348 i cronisti in cella, 60 in ostaggio. Il paese con più vittime è l'Afghanistan, ma il rapporto critica aspramente l’Egitto, che conta 33 giornalisti detenuti, e la Turchia, che ha ben 33 professionisti incarcerati, il numero più alto al mondo
Ottanta giornalisti uccisi, 348 incarcerati e 60 tenuti in ostaggio. Sono i dati preoccupanti del nuovo rapporto di Reporter senza frontiere, pubblicati oggi. I numeri, dopo tre anni di calo, sono in aumento. Nel 2017, infatti, erano stati 65 i professionisti ammazzati per il loro lavoro. Settecento quelli morti in 10 anni. Il bilancio globale non include i 10 decessi che secondo Rsf sono ancora sotto indagine. “C’è una violenza inedita contro i giornalisti”, ha sottolineato nel documento l’Ong con sede a Parigi.
“L’odio per i giornalisti che è espresso, e talvolta apertamente proclamato, da politici senza scrupoli, leader religiosi e uomini d’affari – ha commentato il segretario generale dell’associazione Cristophe Deloire – si è riflesso in questo preoccupante aumento della violenza contro la categoria”. La responsabilità secondo Deloire è da attribuire anche ai social network che legittimano i messaggi di odio e di violenza “minando così il giornalismo e la democrazia stessa, un po’ di più ogni giorno”.
In crescita anche i professionisti uccisi: 63 rispetto ai 55 del 2017. Con i suoi 15 giornalisti morti, l’Afghanistan è il Paese più ‘letale’, seguito da Siria (11 morti) e Messico (9 morti). Entrano come protagonisti in negativo di questo anno nero per la stampa anche gli Stati Uniti d’America. Il motivo è la strage contro la redazione di Capitol Gazete, avvenuta lo scorso giugno ad Annapolis, in Maryland, nella quale sono morti cinque giornalisti.
Il primato per il numero di reporter in galera, invece, va nuovamente alla Cina con 60 giornalisti dietro le sbarre, 46 dei quali sono blogger non professionisti, alcuni detenuti in “condizioni disumane per niente più di un post sui social media”. Tra i paesi con più giornalisti detenuti, dove si concentrano oltre la metà dei 348, anche Iran, Arabia Saudita, Egitto, e Turchia. Reporter senza frontiere nel rapporto critica aspramente l’Egitto, che ha 33 giornalisti detenuti, per l’opacità del suo sistema giudiziario militare, sottolineando che 30 di questi non sono stati processati e che altri restano in cella nonostante i tribunali abbiano ordinato il loro rilascio. Polemiche anche verso la Turchia, che ha ben 33 giornalisti professionisti incarcerati (il numero più alto al mondo), considerata dall’associazione un paese “disumano” per aver condannato all’ergastolo “nella peggior forma di isolamento, senza possibilità di rilascio temporaneo o grazia” 3 reporter di 65, 68 e 74 anni.
In crescita dell’11% il numero di ostaggi: erano stati 53 lo scorso anno, 60 nel 2018. Sui 59 trattenuti in Medio-Oriente (Siria, Iraq Yemen), 6 sono stranieri. Nonostante la disfatta dell’Isis in Iraq e il forte ridimensionamento in Siria, sono scarse le informazioni che filtrano sulla loro situazione, salvo per il giapponese, Jumpei Yasuda, tornato libero dopo tre anni di prigionia in Siria. Un giornalista ucraino è ancora nelle mani delle autorità autoproclamate della ‘Repubblica popolare di Donetsk’ (Dnr), accusato di spionaggio.
“I giornalisti non sono mai stati soggetti a così tanta violenza e abusi come nel 2018”, ha affermato Deloire, ricordando, tra gli altri, anche l’omicidio di Jamal Kashoggi, assassinato nel consolato del suo Paese a Istanbul, poi nominato “Persona dell’anno” dal settimanale Time assieme agli altri giornalisti in pericolo. Il segretario dell’associazione ha richiamato alla memoria anche lo slovacco Jan Kuciak, freddato a colpi di pistola nel suo appartamento di Velka Macia insieme alla fidanzata lo scorso febbraio. “Questi omicidi – ha concluso Deloire – sottolineano quanto avanti siano disposti ad andare i nemici della libertà di stampa”.