di Fiona Watson*
Jair Bolsonaro, un nazionalista di estrema destra con tendenze autoritarie e inclinazioni fasciste, è il neoeletto presidente del Brasile. I 900mila indigeni brasiliani sono una delle tante minoranze contro cui si è ripetutamente scagliato con virulenta ostilità. “È un peccato che la cavalleria brasiliana non sia stata efficiente quanto quella americana nello sterminare i suoi Indiani”, ha affermato. Se manterrà davvero le sue promesse elettorali, i primi popoli del Brasile rischiano la catastrofe e, in alcuni casi, il genocidio.
Nel Paese vivono circa cento tribù incontattate, più che in qualsiasi altro luogo al mondo e a meno che le loro terre non vengano protette, sono in pericolo. Bolsonaro ha infatti minacciato di smantellare il Funai, il dipartimento agli Affari indigeni del governo incaricato di proteggere le terre indigene. In luglio il Funai ha diffuso il video dell’Ultimo della sua tribù: unico superstite degli attacchi genocidi degli anni 70 e 80, quando taglialegna e allevatori si facevano strada nella foresta radendola al suolo. Se i meccanismi per proteggere i territori indigeni e impedire simili atrocità – già inadeguati – saranno sospesi, questa parte essenziale della diversità umana verrà spazzata via per sempre.
Secondo Bolsonaro “gli Indiani puzzano, non sono istruiti e non parlano la nostra lingua” e il “riconoscimento delle terre indigene è un ostacolo all’agrobusiness”. Ha affermato che ridurrà o abolirà le riserve degli Indiani amazzonici e più volte ha giurato: “Se diventerò presidente, non ci sarà un solo centimetro di terra indigena in più”. Le implicazioni per i popoli indigeni del Paese, che dipendono dalla terra non solo per i loro mezzi di sussistenza ma anche per il benessere fisico e spirituale, sono profonde. La lotta per proteggere le loro vite, e l’ecosistema da cui dipendono, è già brutale e violenta.
Survival International lavora a stretto contatto con alcuni gruppi di Guajajara, nello stato di Maranhão, che hanno deciso di farsi carico della protezione di ciò che resta del margine orientale della foresta amazzonica – per le centinaia di famiglie guajajara che vi abitano e per i loro vicini Awá incontattati, molto meno numerosi. Questi “guardiani dell’Amazzonia” subiscono i violenti attacchi della potente mafia del legno che opera illegalmente nell’area: si stima che dal 2000 siano stati uccisi circa 80 membri della tribù.
Intanto, nella regione dell’Amazzonia con il più alto tasso di deforestazione illegale del Paese, i Kawahiva incontattati vivono in fuga dagli allevatori illegali che hanno invaso la loro foresta. Sebbene nel 2016 il ministro della Giustizia brasiliano abbia firmato un decreto per creare un territorio indigeno protetto nella terra della tribù, il processo di demarcazione non è mai stato completato e i Kawahiva rischiano il genocidio. Survival ha lanciato una campagna internazionale per chiedere alle autorità brasiliane di ultimare la protezione della loro terra prima che Bolsonaro entri in carica il primo gennaio.
Ora che i taglialegna, i minatori e tutti coloro che vogliono accaparrarsi la terra si sentono istigati da Bolsonaro, è probabile che nei territori indigeni di tutto il Brasile aumenteranno le incursioni, e che saranno sempre più violente. A pagarne il caro prezzo saranno gli indigeni e l’ambiente. Sempre più studi, infatti, dimostrano che rispettare i diritti territoriali indigeni e riconoscere a questi popoli la gestione delle loro terre è il modo più efficace ed economico per proteggere l’ambiente. I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale e gestiscono il loro ambiente e la sua fauna meglio di chiunque altro.
I discorsi carichi d’odio di Bolsonaro alimentano una retorica pubblica in cui l’incitamento all’odio razziale viene interpretato come via libera a uccidere nell’impunità. Nel giorno delle elezioni una comunità Guarani è stata attaccata da alcuni sicari armati e 15 persone sono rimaste ferite, tra cui un bambino di nove anni. Bolsonaro, inoltre, ha spiegato alle tribù dello stato di Roraima quello che intende fare a Raposa Serra do Sol, un vasto territorio indigeno riconosciuto nel 2005 dopo anni di aspri conflitti con gli allevatori: “Stracceremo Raposa Serra do Sol, e daremo armi a tutti gli allevatori”.
Resta da vedere in che misura Bolsonaro riuscirà davvero a distruggere i diritti costituzionali riconosciuti agli indigeni, ma è chiaro che è in gioco l’anima del Brasile, il futuro della foresta amazzonica e la straordinaria diversità umana rappresentata dalle 350 tribù del Paese. Nel 1969, quando fu fondata Survival, alcuni sostenevano che i popoli indigeni in Brasile sarebbero presto scomparsi. Il prossimo anno compiremo 50 anni e questi popoli sono ancora qui, ma avranno bisogno di tutto il sostegno dell’opinione pubblica internazionale per affrontare quello che potrebbe essere un imminente genocidio.
“Se i popoli indigeni si estinguono e muoiono, saranno in pericolo le vite di tutti perché noi siamo i guardiani della natura” hanno detto i Guarani. “Senza foresta, senza acqua, senza fiumi non c’è né vita né speranza per nessun brasiliano. Abbiamo resistito 518 anni fa; tra vittorie e sconfitte continuiamo a lottare, la terra è nostra madre. Finché splenderà il sole e all’ombra di un albero ci sarà aria fresca, finché ci sarà ancora un fiume in cui bagnarsi, noi continueremo a combattere.”
Crediti fotografici:
© Guilherme Gnipper Trevisan/FUNAI/Hutukara – Lo yano (casa comune) di un gruppo di Yanomami incontattati nell’Amazzonia brasiliana.
* direttrice del Dipartimento Ricerca e Advocacy di Survival International
Survival
Il movimento per i popoli indigeni
Mondo - 19 Dicembre 2018
Bolsonaro minaccia i popoli indigeni dell’Amazzonia. Si sta rischiando un genocidio
di Fiona Watson*
Jair Bolsonaro, un nazionalista di estrema destra con tendenze autoritarie e inclinazioni fasciste, è il neoeletto presidente del Brasile. I 900mila indigeni brasiliani sono una delle tante minoranze contro cui si è ripetutamente scagliato con virulenta ostilità. “È un peccato che la cavalleria brasiliana non sia stata efficiente quanto quella americana nello sterminare i suoi Indiani”, ha affermato. Se manterrà davvero le sue promesse elettorali, i primi popoli del Brasile rischiano la catastrofe e, in alcuni casi, il genocidio.
Nel Paese vivono circa cento tribù incontattate, più che in qualsiasi altro luogo al mondo e a meno che le loro terre non vengano protette, sono in pericolo. Bolsonaro ha infatti minacciato di smantellare il Funai, il dipartimento agli Affari indigeni del governo incaricato di proteggere le terre indigene. In luglio il Funai ha diffuso il video dell’Ultimo della sua tribù: unico superstite degli attacchi genocidi degli anni 70 e 80, quando taglialegna e allevatori si facevano strada nella foresta radendola al suolo. Se i meccanismi per proteggere i territori indigeni e impedire simili atrocità – già inadeguati – saranno sospesi, questa parte essenziale della diversità umana verrà spazzata via per sempre.
Secondo Bolsonaro “gli Indiani puzzano, non sono istruiti e non parlano la nostra lingua” e il “riconoscimento delle terre indigene è un ostacolo all’agrobusiness”. Ha affermato che ridurrà o abolirà le riserve degli Indiani amazzonici e più volte ha giurato: “Se diventerò presidente, non ci sarà un solo centimetro di terra indigena in più”. Le implicazioni per i popoli indigeni del Paese, che dipendono dalla terra non solo per i loro mezzi di sussistenza ma anche per il benessere fisico e spirituale, sono profonde. La lotta per proteggere le loro vite, e l’ecosistema da cui dipendono, è già brutale e violenta.
Survival International lavora a stretto contatto con alcuni gruppi di Guajajara, nello stato di Maranhão, che hanno deciso di farsi carico della protezione di ciò che resta del margine orientale della foresta amazzonica – per le centinaia di famiglie guajajara che vi abitano e per i loro vicini Awá incontattati, molto meno numerosi. Questi “guardiani dell’Amazzonia” subiscono i violenti attacchi della potente mafia del legno che opera illegalmente nell’area: si stima che dal 2000 siano stati uccisi circa 80 membri della tribù.
Intanto, nella regione dell’Amazzonia con il più alto tasso di deforestazione illegale del Paese, i Kawahiva incontattati vivono in fuga dagli allevatori illegali che hanno invaso la loro foresta. Sebbene nel 2016 il ministro della Giustizia brasiliano abbia firmato un decreto per creare un territorio indigeno protetto nella terra della tribù, il processo di demarcazione non è mai stato completato e i Kawahiva rischiano il genocidio. Survival ha lanciato una campagna internazionale per chiedere alle autorità brasiliane di ultimare la protezione della loro terra prima che Bolsonaro entri in carica il primo gennaio.
Ora che i taglialegna, i minatori e tutti coloro che vogliono accaparrarsi la terra si sentono istigati da Bolsonaro, è probabile che nei territori indigeni di tutto il Brasile aumenteranno le incursioni, e che saranno sempre più violente. A pagarne il caro prezzo saranno gli indigeni e l’ambiente. Sempre più studi, infatti, dimostrano che rispettare i diritti territoriali indigeni e riconoscere a questi popoli la gestione delle loro terre è il modo più efficace ed economico per proteggere l’ambiente. I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale e gestiscono il loro ambiente e la sua fauna meglio di chiunque altro.
I discorsi carichi d’odio di Bolsonaro alimentano una retorica pubblica in cui l’incitamento all’odio razziale viene interpretato come via libera a uccidere nell’impunità. Nel giorno delle elezioni una comunità Guarani è stata attaccata da alcuni sicari armati e 15 persone sono rimaste ferite, tra cui un bambino di nove anni. Bolsonaro, inoltre, ha spiegato alle tribù dello stato di Roraima quello che intende fare a Raposa Serra do Sol, un vasto territorio indigeno riconosciuto nel 2005 dopo anni di aspri conflitti con gli allevatori: “Stracceremo Raposa Serra do Sol, e daremo armi a tutti gli allevatori”.
Resta da vedere in che misura Bolsonaro riuscirà davvero a distruggere i diritti costituzionali riconosciuti agli indigeni, ma è chiaro che è in gioco l’anima del Brasile, il futuro della foresta amazzonica e la straordinaria diversità umana rappresentata dalle 350 tribù del Paese. Nel 1969, quando fu fondata Survival, alcuni sostenevano che i popoli indigeni in Brasile sarebbero presto scomparsi. Il prossimo anno compiremo 50 anni e questi popoli sono ancora qui, ma avranno bisogno di tutto il sostegno dell’opinione pubblica internazionale per affrontare quello che potrebbe essere un imminente genocidio.
“Se i popoli indigeni si estinguono e muoiono, saranno in pericolo le vite di tutti perché noi siamo i guardiani della natura” hanno detto i Guarani. “Senza foresta, senza acqua, senza fiumi non c’è né vita né speranza per nessun brasiliano. Abbiamo resistito 518 anni fa; tra vittorie e sconfitte continuiamo a lottare, la terra è nostra madre. Finché splenderà il sole e all’ombra di un albero ci sarà aria fresca, finché ci sarà ancora un fiume in cui bagnarsi, noi continueremo a combattere.”
Crediti fotografici:
© Guilherme Gnipper Trevisan/FUNAI/Hutukara – Lo yano (casa comune) di un gruppo di Yanomami incontattati nell’Amazzonia brasiliana.
* direttrice del Dipartimento Ricerca e Advocacy di Survival International
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Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Martedì 25 alle ore 15.30 si svolgeranno le commemorazioni dell'Ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci. Poi il primo punto all'ordine del giorno è la mozione di sfiducia a Daniela Santanchè.
(Adnkronos) - La sede opportuna, ha sottolineato Ciriani, "è il Copasir che è un organo del Parlamento e non del governo, ed è presieduto da un componente delle opposizioni. E' quella la sede in cui il governo fornisce tutte le informazioni del caso: oggi è stato audito Valensise, la settimana scorsa Caravelli e la prossima settimana sarà audito Frattasi. Da parte del governo non c'è alcun volontà di non dare informazioni, ma di darle nelle sedi opportune".
E anche sulla richiesta delle opposizioni di sapere se Paragon sia stato utilizzato dalla polizia penitenziaria, Ciriani ribadisce che saranno date "riposte nelle sedi opportune. C'e' un luogo in cui dare risposte e un altro luogo in cui non si possono dare, ma questo è la legge a disporlo, non è il governo". Infine viste le proteste dei gruppi più piccoli che non sono rappresentati nel Copasir, Ciriani ha ricordato che "è la legge che lo prevede, non dipende dal governo".
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Martedì 25 al mattino si terrà discussione generale sulla mozione di sfiducia al ministro Carlo Nordio. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo della Camera.
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - La conferenza dei capigruppo ha stabilito che domani dalle 18 votazione si svolgerà la chiama per la fiducia sul dl Milleproroghe. Le dichiarazioni di voto inizieranno alle 16 e 20. Il voto finale sul provvedimento è previsto per giovedì.
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Le opposizioni protestano con il governo e con il presidente della Camera Lorenzo Fontana sulla mancata interrogazione al question time sul caso Paragon. "Il governo si sottrae al confronto con il Parlamento. Siamo totalmente insoddisfatti sulle motivazioni apportate dal ministro Ciriani" che ha ribadito come il governo ritenga "non divulgabili" le informazioni sul caso, ha detto la presidente dei deputati Pd, Chiara Braga, al termine della capigruppo a Montecitorio. "E abbiamo chiesto anche al presidente Fontana di rivalutare la sua scelta".
"Il governo ha avuto l'atteggiamento di chi è stato preso con le mani nella marmellata: tutti hanno parlato, ma ora che abbiamo chiesto se lo spyware fosse utilizzato dalla polizia penitenziaria scatta il segreto...", osserva il capogruppo di Iv, Davide Faraone. Per Riccardo Magi di Più Europa si tratta "di un altro colpo alle prerogative del Parlamento. Si toglie forza a uno dei pochissimi strumenti che si hanno per ottenere risposte dal governo".
Roma, 18 (Adnkronos) - "Si tratta di informazioni non divulgabili" e come tali "possono essere divulgate solo nelle sedi opportune" come il Copasir. Lo ha detto il ministro Luca Ciriani al termine della capigruppo alla Camera a proposito delle interrogazioni al governo da parte delle opposizioni sul caso Paragon. "Da parte del governo non c'è alcun volontà di non dare informazioni, ma di darle nelle sedi opportune".
Milano, 18 feb. (Adnkronos) - "Sono molto sollevato per la decisione del giudice Iannelli che ha escluso la richiesta di arresti domiciliari a mio carico. Ciò mi permette di proseguire il mio lavoro di architetto e anche di portare a termine l’incarico di presidente di Triennale e di docente del Politecnico di Milano". Lo afferma Stefano Boeri dopo la decisione del gip di Milano che ha disposto un'interdittiva che gli vieta per un anno di far parte di commissioni giudicatrici per procedure di affidamento di contratti pubblici.
L'archistar è indagato insieme a Cino Paolo Zucchi e Pier Paolo Tamburelli per turbativa d'asta nell'inchiesta per la realizzazione della Beic, la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. "Ribadisco la mia piena fiducia nel lavoro della magistratura e non vedo l’ora di poter chiarire ulteriormente la mia posizione. Non nascondo però la mia inquietudine per tutto quello che ho subito in queste settimane e per i danni irreversibili generati alla mia vita privata e professionale" conclude Boeri in una nota.