La legge sul cyberbullismo, approvata all’unanimità il 17 maggio 2017, fu dedicata a Carolina Picchio. E il processo per la sua persecuzione fino alla morte, il primo, si è concluso con una sentenza di estinzione dei reati. Il verdetto riguarda i cinque ragazzi di Novara imputati per il suicidio della studentessa, 14 anni, che la notte 5 gennaio 2013 si lanciò dalla finestra della sua casa perché esasperata dagli insulti osceni le offese che riceveva di continuo sui social. Il Tribunale per i minorenni di Torino, come riferisce La Stampa, aveva stabilito che i giovani sono “consapevoli e pentiti“. Il giudice ha pronunciato il non luogo a procedere per effetto dell’esito positivo della messa alla prova.
I cinque erano accusati a vario titolo di morte come conseguenza non voluta di altro reato, stalking, violenza sessuale di gruppo, diffamazione, detenzione di sostanze stupefacenti e detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico. Nel giugno del 2016 avevano chiesto e ottenuto la “messa alla prova” (un strumento creato apposta per gli imputati minorenni), con un percorso di recupero e l’affiancamento ad una psicologa: secondo le relazioni tecniche contenute negli atti del processo, i ragazzi avrebbero capito i loro errori e la gravità degli atti di bullismo da loro commessi ai danni della 14enne. “Mi auguro davvero che abbiano compreso il gesto e si siano pentiti”, ha commentato il padre di Carolina, Paolo Picchio, al quotidiano torinese.
Una storia quella di Carolina iniziata come tante altre. Un ex fidanzatino arrabbiato che, dopo la fine della relazione, aveva cominciato a scagliare offese atroci a destra e a manca. E poi il solito ideo, girato con un cellulare da altri tre giovanissimi, in cui la ragazzina compariva in atteggiamenti intimi: un filmato poi fatto addirittura circolare su Whatsapp. Settimane di sberleffi, parole infamanti, bugie. Un peso insopportabile per una ragazzina.
“Questo istituto della messa alla prova è considerato fiore all’occhiello del processo penale minorile perché consente l’applicazione della mediazione penale e delle altre strategie di giustizia riparativa. Mi rendo conto che questi giovani all’epoca dei fatti erano minorenni e quindi della necessità di un loro recupero perché sicuramente dopo questo periodo di messa alla prova non commetteranno più atti violenti dettati da immaturità e da un uso non consapevole del web, ma come avvocato della famiglia credo che il dolore per la scomparsa di Carolina non possa essere compensato da qualsiasi esito di proscioglimento” dice all’Adnkronos Anna Livia Pennetta, avvocato della famiglia Picchio.
La nuova legge, dedicata proprio a Carolina, definisce come bullismo telematico ogni forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, manipolazione, acquisizione o trattamento illecito di dati personali realizzata per via telematica in danno di minori. Ma è cyberbullismo anche la diffusione di contenuti online per isolare il minore mediante
un serio abuso, un attacco dannoso o la messa in ridicolo. Le vittime con almeno 14 anni, o il genitore, può chiedere al gestore del sito o del social di oscurare, rimuovere o bloccare i contenuti diffusi in rete. Se non si provvede entro 48 ore, l’interessato può ricorrere al Garante della privacy. Un compito anche per la scuola che deve avere un referente per le iniziative contro il cyberbullismo con il preside che dovrà informare subito le famiglie dei minori coinvolti in atti di bullismo informatico.