Gli imprenditori balneari possono tirare un sospiro di sollievo, un altro. Perché l’accordo raggiunto in Senato su un emendamento (della Lega) da inserire nella legge di Bilancio consente di rinviare di altri 15 anni l’applicazione per il comparto balneare della direttiva Bolkestein. La norma europa, altrimenti, obbligherebbe lo Stato a mettere a gara le concessioni per le spiagge invece che affidarle sempre agli stessi. Di certo una buona notizia per gli operatori del settore, che rischiavano di dire addio a una situazione cristallizzata da decenni con concessioni ottenute a prezzi spesso molto bassi. Oggi il 60% delle coste italiane è occupato da stabilimenti balneari con oltre 27mila concessioni demaniali, eppure gli introiti per lo Stato sono di appena 103 milioni di euro. In ballo non ci sono solo interessi economici, ma anche un bacino di voti non indifferente. E in quelle 27mila concessioni c’è di tutto: lo stabilimento di Flavio Briatore in Versilia, ma anche quello in Calabria, che permette a un’intera famiglia di tirare avanti. Non è un caso se le forze di governo si sono affrettate a dare la notizia, attribuendosi il merito di quella che definiscono una “vittoria”. Così ha fatto il ministro delle Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio, annunciando il suo impegno nel “proseguire il tavolo tecnico con le associazioni di categoria per l’uscita totale dalla Bolkestein”, mentre i portavoce del Movimento 5 Stelle in Commissione Attività produttive alla Camera hanno parlato di una soluzione d’emergenza per disinnescare “il problema attuale, sbloccando gli investimenti e dando nuova linfa al settore”. Questa la ratio che avrebbe spinto il governo a raggiungere l’intesa, ma per gli ambientalisti si tratta solo di una cambiale elettorale. “L’unica certezza – spiega a ilfattoquotidiano.it Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – è che si vuole andare incontro ai concessionari, come dimostrano i tavoli che Centinaio ha organizzato da giugno solo con i balneari, ma c’è da distinguere perché non tutti gli operatori sono uguali e non tutti hanno alle spalle la stessa situazione”.
L’EMENDAMENTO DELLA LEGA – A novembre scorso, la Lega aveva presentato in Commissione Finanze al Senato un emendamento al decreto fiscale, a prima firma del senatore Enrico Montani, per estendere i termini di durata delle concessioni di beni demaniali fino al 2045 “su aree colpite o distrutte dagli eventi atmosferici incorsi nei mesi di ottobre e novembre del 2018”. Sui parametri il M5S aveva mostrato maggiore prudenza. Tutto è caduto poi nel vuoto, in attesa della discussione sulla manovra. Questa volta nulla sembrerebbe ostacolare più l’approvazione dell’emendamento alla legge di Bilancio. La versione finale, oltre all’appoggio di Lega e M5S, conterebbe anche su quello di Pd, Fratelli d’Italia e Forza Italia, che aveva presentato un emendamento analogo. Il testo, primo firmatario il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo (ma ha lavorato in prima persona anche il ministro Gian Marco Centinaio) punta “a valorizzare e promuovere il bene demaniale delle coste italiane”.
LE RAGIONI DEL GOVERNO – Secondo il governo, vista la situazione attuale, l’emendamento si rendeva necessario. “Abbiamo raggiunto un primo obiettivo, fondamentale, in quanto ci consentirà di lavorare ancora meglio per trovare una soluzione definitiva e permetterà ai balneari di programmare le loro attività e fare gli investimenti che meritano” ha spiegato Centinaio. Così anche i colleghi di governo, da sempre più cauti sulla proroga. Non è un mistero che i Cinque Stelle puntassero ad alzare la qualità delle attività balneari e a nuovi modelli di gestione. D’altronde, lo stesso presidente della Commissione per le Politiche Ue della Camera Sergio Battelli (M5S) ha spiegato che “il periodo transitorio concesso ai lavoratori del comparto balneare è frutto di un intenso lavoro di mediazione”. “Anche nella scorsa campagna elettorale – ha aggiunto Battelli – abbiamo parlato sempre di un periodo transitorio di 15 anni e poi di gare (percorso peraltro condiviso da molte associazioni di settore) che, oltre a garantire trasparenza e concorrenza legale, ci consentirebbero di svincolarci dalle procedure di infrazione”. E mentre i portavoce del movimento in Commissione Attività produttive alla Camera hanno ricordato che “il Movimento 5 Stelle porta avanti da tempo la battaglia per il superamento della direttiva Bolkestein” e che questo punto “è anche stabilito nel contratto di Governo”, i senatori pentastellati della X commissione hanno sottolineato come l’emendamento consenta ai concessionari balneari “di continuare a svolgere il loro mestiere” e di “restituire un minimo di serenità a tante famiglie interessate in questo settore”, pur sottolineano che ora l’obiettivo “è quello di pianificare un sistema trasparente di gare, anche per evitare la procedura d’infrazione”.
L’ANOMALIA ITALIANA – Queste ragioni, però, non bastano agli ambientalisti, secondo cui non si fa altro che scattare la foto della situazione attuale, una foto bocciata dall’Europa. “In questo emendamento – spiega Edoardo Zanchini a ilfattoquotidiano.it – non vedo nessuna messa in discussione”. La scorsa estate, nel dossier Le spiagge sono di tutti Legambiente ha denunciato l’anomalia tutta italiana: 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 27.335 per uso ‘turistico ricreativo’. Si tratta di 19,2 milioni di metri quadri di spiagge sottratti alla libera fruizione. Nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma di 15 miliardi all’anno. “Si tratta di 6.106 euro a chilometro quadrato – spiega Legambiente – contro una media di entrate per le casse pubbliche di circa 4 mila euro all’anno a stabilimento”. Da qui le critiche all’emendamento.
AMBIENTALISTI SUL PIEDE DI GUERRA – Tre i punti principali che riguardano il diritto dei cittadini di avere accesso alla spiaggia libera, il problema dei canoni troppo bassi e l’assenza di un sistema di regole. Per quanto riguarda la prima questione “oggi in alcuni comuni la percentuale di costa occupata da stabilimenti è del 90% – ricorda il vicepresidente di Legambiente – e questo significa che in un futuro non troppo lontano chi abita in quelle zone non potrà più andare alla spiaggia libera”. Le regioni più ‘affollate’ sono Toscana, Emilia Romagna e Liguria. Secondo punto: non si interviene sui canoni. “In media si paga 4mila euro a concessione – aggiunge Zanchini – ma non è possibile che lo stabilimento balneare di Forte dei marmi costi all’operatore quanto quello calabrese. Bisogna prevedere una differenziazione anche in base al pregio e alle caratteristiche dei lidi”. Infine, c’è il tema delle regole (che non ci sono) per premiare chi è virtuoso e tutela l’ambiente”. Per evitare che si arrivi a situazioni estreme come quella del Med Net, lo storico stabilimento di Ostia, demolito l’11 dicembre scorso, alla presenza della sindaca Virginia Raggi, e costruito violando le principali disposizioni edilizie. Non è certo l’unico caso. Proprio sul lungomuro di Ostia negli anni si è arrivati a cementificare 12 chilometri di costa con ben 71 stabilimenti. A criticare l’emendamento della Lega è anche il Wwf: “Nel testo si arriva addirittura a sostenere che la privatizzazione sarebbe compatibile con la sostenibilità ambientale e la tutela degli ecosistemi marittimi coinvolti, mentre di fatto si estende l’effetto barriera che già caratterizza amplissime porzioni dei nostri litorali”, illudendo gli imprenditori del settore “di poter eludere le norme europee sulla concorrenza”. Per Legambiente l’emendamento è “un regalo di Natale del Governo e della maggioranza a vantaggio del comparto balneare” che espone l’Italia all’ennesimo rischio di apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea. “Nel frattempo – denuncia Legambiente – nel nostro Paese il numero delle concessioni balneari cresce, con il rischio che si continui in una corsa a occupare ogni metro di spiaggia con stabilimenti che, in assenza di controlli come avvenuto fino ad oggi, rendano le coste italiane delle coste privatizzate quando invece le spiagge sono di tutti”.
COSA SUCCEDE NEGLI ALTRI PAESI – A questo proposito è interessante un paragone con quando avviene in altri Paesi. In Francia, ad esempio, la durata delle concessioni per le spiagge non supera i 12 anni, ma soprattutto l’80% della lunghezza e l’80% della superficie della spiaggia devono essere liberi da costruzioni per sei mesi l’anno. “Gli stabilimenti – spiega Legambiente nel suo dossier – vanno quindi rigorosamente montati e poi smontati e le concessioni sono rilasciate per un massimo del 20% della superficie del litorale”. In Spagna la gara pubblica per le concessioni non è resa obbligatoria dalle norme vigenti “ma risulta difficile trovare esperienze di Comunità Autonome che le rilascino per via diretta”. La proroga delle concessioni esistenti è soggetta a un rapporto ambientale che indichi gli effetti dell’occupazione sull’ambiente. Ci sono poi casi come Formentera, dove le concessioni sono rinnovate ogni 4 anni e sempre con il sistema delle aste pubbliche. “Un sistema – spiega Legambiente – che ha favorito l’imprenditoria locale, salvaguardando l’isola dalle speculazioni”. Per quanto riguarda la Grecia, nonostante le concessioni abbiano una durata variabile e stabilita dai comuni, la regola costante per tutto il territorio è quella di affidare la gestione di tratti di spiaggia tramite bandi di gara, con procedure di selezione che garantiscono imparzialità e trasparenza. La normativa che la Croazia ha introdotto negli ultimi anni, invece, prevede che le concessioni siano valutate a seconda dello scopo e dell’importo degli investimenti necessari e di tutti gli effetti economici complessivi che saranno raggiunti con la concessione, sempre e solo tramite bandi di gara. Esiste inoltre un ‘permesso di concessione’ che è valido solo per 5 anni. In Croazia vige anche il divieto di costruire qualsiasi opera (dai chioschi ai ristoranti) per una distanza minima di un chilometro stabilendo una continua e unica ‘Area protetta costiera’. Le costruzioni esistenti che si trovano nella fascia a 100 metri dalla costa non possono in nessun modo essere ampliate. Secondo Legambiente in Italia c’è bisogno di un intervento organico, con limiti massimi di occupazione e una revisione dei canoni “invece finora si è scelto sempre di non intervenire – spiega Zanchini – per non toccare interessi forti, pur sapendo che la Bolkestein non si può superare”.
DI PROROGA IN PROROGA – La direttiva Bolkestein fu approvata nel 2006 ed è da allora che si cerca (invano) di trovare una soluzione per rispettarla, limitando al massimo i danni agli imprenditori e cercando di evitare procedure di infrazione. Nell’ottobre 2008 l’Antitrust segnalò che le norme italiane sul rinnovo delle concessioni demaniali marittime violavano la concorrenza e, nel 2009, la Commissione Europea aprì una procedura d’infrazione (poi archiviata) nei confronti dell’Italia. L’anno seguente, il governo Berlusconi stabilì una proroga automatica fino al 2015 per tutti i concessionari. L’obiettivo era quello di dare il tempo a chi aveva appena ottenuto le concessioni di rientrare nell’investimento iniziale. Ma il problema era ben lungi dall’essere risolto. Di fatto nel 2011 la legge comunitaria 2010 eliminò il meccanismo del rinnovo automatico delle scadenze, delegando il Governo ad adottare un decreto legislativo per il riordino della materia. Una successiva proroga arrivò nel 2012 per decisione del Parlamento: ignorando i moniti dell’Ue, le concessioni furono prolungate fino al 2020. La Corte di Giustizia Ue ha bocciata la proroga con una sentenza del luglio del 2016. Nel frattempo si è cercato di mettere mano al riordino con scarsi risultati. Nel 2017, otto anni dopo l’apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia, ci ha provato l’ex ministro per gli Affari regionali Enrico Costa con un progetto di legge che prevedeva, tra le altre cose, un periodo di transizione da un sistema all’altro. Il testo, approvato alla Camera, si è poi bloccato al Senato, prima della fine della legislatura.