L’annuncio era arrivato domenica 16 dicembre, in poche righe. Oggi lo stop, con la marcia indietro del Movimento 5 stelle. L’emendamento in questione è quello con cui il governo vuole alzare la soglia per gli appalti pubblici senza gara da 40 a 200mila euro, con la promessa di sbloccare lavori nei comuni per 6-7 miliardi l’anno. I bandi spazzati via in favore di affidamenti diretti fanno felice il “partito del Pil” ma rischiano di moltiplicare anche le inchieste giudiziarie, come quelle di lunedì a Catanzaro, per appalti sotto soglia. E di facilitare le infiltrazioni criminali, giacché sotto i 150mila euro non è necessario il certificato antimafia. Un provvedimento che suggerisce a chi ha seguito il confronto con le parti industriali e associazioni produttive, come tra la linea legalitaria del M5S e quella “espansiva” della Lega di Matteo Salvini abbia prevalso la seconda. Una linea che sposta la soglia delle procedure vincolate di cinque volte in un colpo, e per questo solleva perplessità sotto il profilo delle garanzie di legalità. Garanzie che il governo – a torto o a ragione – contava di salvaguardare con la legge “spazza corrotti” che consente l’agente infiltrato e rende non punibile chi denuncia per primo le mazzette. Almeno fino al passo indietro del Movimento 5 Stelle.

Il primo a parlare è stato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Ospite ad Agorà, il Guardasigilli ha annunciato che sono in corso valutazioni sulla decisione da prendere: “Dobbiamo dire che tanti Enti locali, tanti Comuni a volte trovano difficoltà nello spendere i soldi per le procedure lunghe che ci sono – ha detto Bonafede – Si sta cercando un punto di equilibrio per far in modo che vengano rispettate le regole, ma che se un sindaco deve fare qualcosa che lo possa fare con tempi celeri. Potrebbe cambiare (il tetto ndr), condizionale d’obbligo”. A confermare questa linea all’AdnKronos anche fonti interne al M5s, secondo cui “la norma sul codice degli appalti va cambiata”. Dall’Anac, inoltre, sono filtrati imbarazzo e perplessità per la scelta che non è stata oggetto di confronto con l’autorità che vigila sui contratti pubblici. Garbo istituzionale impedisce qualunque commento in assenza di un testo ma è evidente che le promesse rivolte nelle scorse settimane all’Ance e alle categorie rischia di scoprire il fianco alla criminalità che si ciba di appalti. Il tetto dei 40mila euro era stato introdotto infatti come soglia di garanzia intermedia rispetto alle ipotesi corruttive e di danno erariale. Elevarla a 200 rende esponenziale il rischio, in assenza di qualunque forma di controllo a fronte di una discrezionalità enorme in capo al funzionario di turno. L’affidamento diretto, infatti, non è neppure una trattativa privata, nella quale le aziende vengono chiamate a un confronto tra offerte diverse.

Si dirà che anche in Europa la soglia di rilevanza è stata recente alzata. Dal primo gennaio 2018 i tetti per le procedure comunitarie per lavori sono passati da 209mila a 221mila euro, per servizi e forniture da 135 a 144mila. Ma quella è appunto l’Europa, dove l’Italia spicca sugli altri Paesi per il tasso di corruzione. Motivo che finora ha consigliato di tenere corta la corda degli affidamenti. Ma negli ultimi anni il vento soffia nella direzione opposta. Il vecchio codice del 2016, ad esempio, prevedeva per lavori di importo inferiore alla soglia dei 40mila che la stazione appaltante motivasse la scelta di conferire l’incarico a una determinata azienda, svolgendo anche una breve consultazione preliminare.

Con il correttivo 2017 questa norma è saltata, quindi già ora chi affida fino a 40mila euro non deve motivare: affida e paga. Questa facoltà adesso quintuplica, a beneficio non solo delle aziende sane che lavorano onestamente ma anche di quelle criminali che proprio grazie al rapporto preferenziale e soggettivo col decisore pubblico fanno affari d’oro. E ora hanno meno da temere. Questo è il punto delicato della vicenda, anche politicamente, visto che il M5S ha sempre alzato il vessillo della legalità che ora si piega davanti all’imperio degli obiettivi macroeconomici.

La partita, del resto, vale un sacco di soldi. Anac vigila sulla banca dati degli appalti pubblici e ogni quattro mesi realizza un rapporto sulla spesa della Pa a fini di monitoraggio quasi in tempo reale. Nel primo quadrimestre del 2018 la fascia 40-150mila euro “cubava” un valore pari a un miliardo e mezzo. Cosa significa? Che alzando la soglia degli affidamenti a 200mila vai a “liberare” dai lacci del controllo l’equivalente di 6-7 miliardi l’anno, che vengono dati cash, senza procedure e senza possibilità di controllo. Perché le autorità, a partire proprio dall’Anticorruzione, vigilano laddove ci sono gare pubbliche, dove i parametri economici e qualitativi di più offerte rende più facile individuare l’anomalia, che spesso viene segnalata direttamente dai correnti che hanno visto pregiudicato il diritto a concorrere. Senza gare, il Pil corre. Ma senza controllo.

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