Una nuova guerra di mafia stava per scoppiare in provincia di Crotone dove si erano registrate frizioni tra le cosche per assicurarsi il controllo del territorio. Sono 21 i provvedimenti di fermo eseguiti dalla Polizia nell’operazione “Tisifone” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Due indagati, al momento, sono irreperibili. Tra questi anche il boss Antonio Nicoscia, di 41 anni, detto “Macchietta” o “Mulinello”. È accusato di aver “riorganizzato il proprio gruppo operativo, eseguendo il tradizionale rituale di ‘ndrangheta, affiliando nuovi membri alla cosca di appartenenza e consolidando i rapporti con la cosca operante in Petilia Policastro, facente capo a Rosario Curcio detto ‘Pilirusso’” Anche lui fermato oggi dalla polizia, Curcio ha presieduto un summit in una casa diroccata di Isola Capo Rizzuto dove sono stati “battezzati” i nuovi membri della cosca che poi hanno pranzato al ristorante “Il covo del Pesce” in località “Le Castella”.
Tra i fermati c’è pure l’altro boss emergente, Salvatore Capicchiano, conosciuto con il soprannome di “Porcedduzzu”, che stava per essere ucciso se i pm di Catanzaro non avessero firmato il provvedimento di fermo eseguito alle prime luci dell’alba dagli agenti della squadra mobile e del Servizio centrale operativo. In manette sono finiti esponenti di spicco delle famiglie di ‘ndrangheta.
Coordinata dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Luberto e dai sostituti della Dda Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, l’inchiesta ha fotografato le tensioni che stavano mettendo a rischio la pace mafiosa a Isola Capo Rizzuto tra la cosca Capicchiano e i Nicoscia. Clan che – è scritto nel provvedimento di fermo – “hanno acquisito nel corso degli anni una notevole forza intimidatrice, in grado di piegare i cittadini al proprio volere”. L’inchiesta ha riguardato anche esponenti di ‘ndrangheta di Crotone e Petilia Policastro. Per i fermati le accuse vanno dall’associazione mafiosa al tentato omicidio passando per i reati di estorsione, tentata rapina, incendio, porto e detenzione illegale di armi e munizioni. L’operazione “Tisifone” ha spalancato le porte del carcere alle nuove leve delle cosche del crotonese, giovani rampolli che si stavano riorganizzando dopo gli arresti eseguiti in questi anni dalla Procura di Nicola Gratteri che, con l’operazione “Jonny”, aveva già decimato la ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, orfana del business rappresentato dal Centro di accoglienza.
Stando alle risultanze investigative, inoltre, è emerso che stavano pianificando alcuni omicidi che avrebbero di certo provocato una reazione tra le varie consorterie mafiose che si contendevano il territorio. Boss e gregari dei clan volevano ridiscutere gli accordi e per questo erano pronti a fare la guerra. Nella fase preparatoria, gli investigatori hanno registrato pure alcuni indagati che commentavano i rituali di affiliazione e discutevano dei loro gradi di ‘ndrangheta. “Io sono in alto. – è il boss Salvatore Capicchiano che parla – A me sai cosa mi manca? Un gradino. Io sono alto… io tengo la doppia M. Sai cosa vuol dire la doppia M? Il piano dopo è Mammasantissima”.
L’operazione è scattata in altre città. Il provvedimento di fermo, infatti, ha visto impegnati pure gli uomini delle squadre mobili di Catanzaro, Taranto e Mantova e dei reparti prevenzione crimine di Cosenza, Vibo Valentia e Siderno. L’inchiesta ha dimostrato come la cosca Capicchiano era attiva nel settore delle slot machine anche agli appartenenti alle altre famiglie mafiose di Isola Capo Rizzuto che, nonostante avessero interessi in questo campo, venivano indotte ad operare fuori dal locale di ‘ndrangheta. La Dda è riuscita a registrare in diretta le minacce del boss Capicchiano che delimitava il suo territorio e minacciava gli esponenti delle cosche avversarie: “Se vi trovo la’ dentro… vi sgozzo come un capretto”. E quando al boss è stato fatto notare che erano uomini di Antonio Nicoscia (“Lo sai… che c’è sempre qualcuno dietro di noi!”), Capicchiano ha sbottato: “Dentro Isola, non si deve muovere nessuno! …punto e basta… perché te lo dico io! Chiamalo se ha i coglioni di venire qua.. che glieli taglio!… e glieli metto in bocca! Sti pisciaturi luridi.. Chiamali qua che te li squarto… come un pesce a tutti! Chiamali qua.. vediamo chi è che sono ste merde!”. E quando Luigi Manfredi, figlio del boss Pasquale, tenta di prendersi l’incasso di una sala giochi, in un primo momento i Capicchiano volevano rispondere col sangue.
“È andato là ed ha chiesto i soldi… voleva i soldi miei”. Si lamenta, infatti, Antonio Capicchiano con uno dei suoi luogotenenti, Carmine Serapide, il quale ha subito proposto una soluzione: “Ma ce l’hai qua il discorso (l’arma, ndr) ce l’hai qua?.. che andiamo e lo ammazziamo direttamente”. “No, ora va solo picchiato, – è il fratello del boss che smorza i toni per paura che il padre di Manfredi potesse reagire diventando un collaboratore di giustizia – lo consumo di botte.. e lo mando all’ospedale!”.
L’incapacità di accontentare tutte le anime della cosca ha esposto Salvatore Capicchiano nei cui confronti, stando all’inchiesta, era stato programmato un agguato da parte della fazione capeggiata da Antonio Nicoscia. Non è un caso, infatti, che a febbraio nei pressi dell’abitazione del boss è stata trovata una Fiat Cinquecento rubata con dentro un fucile automatico e sei cartucce caricate a pallettoni. Dalle intercettazioni, inserite nel provvedimento di fermo, emergeche mancava poco all’agguato contro Salvatore Capicchiano. Lo dicono due indagati secondo cui “è un anno che non sono capaci di farlo”. La sentenza di morte, però, è stata già emessa e l’attentato, se la Dda non avesse eseguito i fermi di stamattina, sarebbe stato portato a termine proprio in questi giorni: “Quelli mo’ fanno la festa prima di Natale. Tu hai finito di vivere”.
Durante la conferenza stampa il procuratore Nicola Gratteri ha attaccato chi, in alcuni convegni dopo l’operazione “Jonny”, ha sostenuto che la Dda di Catanzaro vuole “criminalizzare Isola Capo Rizzuto”. “Ha sbagliato di grosso” è la replica di Gratteri che non fa nomi ma non le manda a dire: “È una grande sciocchezza. Non esiste. Che nessuno si permetta di dire o pensare nemmeno nel subconscio una cosa del genere. Che si facessero un esame di coscienza”. E sull’inchiesta: “Abbiamo documentato almeno cinque o sei affiliazioni in diretta. Non daremo tregua a nessuno. Le cosche si stavano riorganizzando. Abbiamo documentato come dopo la manna del Cara di Isola Capo Rizzuto, le cosche hanno cominciato con il racket delle slot machine”.
“Vi rendete conto – ha ribadito il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto – che in un fazzoletto di terra si contano almeno una mezza dozzina di famiglie che per anni si sono contese il territorio anche a colpi di bazooka fin quando non è arrivata la manna del Cara. Con il Centro di accoglienza c’era denaro per tutti. Una volta che la manna è stata interrotta, quest’indagine dimostra la contesa rispetto all’unico settore che era rimasto vitale, quello delle scommesse online, che la famiglia Capicchiano voleva monopolizzare. Oltre al pericolo di fuga, la cosa che ha determinato questa retata prenatalizia sono i propositi omicidiari, veramente allarmanti”.