Dopo riunioni, passaggi in diverse commissioni e varie rielaborazioni, il ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con quello dell’Ambiente, ha presentato una nuova bozza di decreto incentivi alle Fonti energetiche rinnovabili. Insomma fotovoltaico, geotermia e naturalmente idroelettrico. Sul tavolo politiche di sviluppo, ma anche salvaguardia del paesaggio. Elementi evidentemente complementari, ma spesso contrapposti. Proprio per questo la partita sembra ancora aperta. L’esito finale appare particolarmente incerto per quel che riguarda l’idroelettrico. Ai presidenti di Regione arriva l’appello del Coordinamento nazionale tutela fiumi: “La bozza di decreto incentivi alle fonti energetiche rinnovabili – si legge in un intervento – non rinnova l’incentivazione a buona parte degli impianti idroelettrici installati su corsi d’acqua naturali, mantenendola inalterata per gli impianti su corsi d’acqua artificiali, acquedotti, sfruttamento sui deflussi minimi vitali”. È l’estremo tentativo da parte di comitati locali ed associazioni anche nazionali di opporsi allo sfruttamento intensivo ed indiscriminato dei corsi d’acqua.
Intanto, in attesa della conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre, le Regioni si danno da fare. Piemonte, Val d’Aosta, Veneto, Lombardia e Trentino, in commissione energia della conferenza delle Regioni, hanno deciso di ripresentare al ministero dello Sviluppo le stesse stesse richieste che già non sono state accolte in sede tecnica. Così il parere positivo, tra condizioni e raccomandazioni, passa attraverso il ripristino di incentivi per tutti, sulla base di attestazioni rilasciate dal concedente, aumento dei termini temporali per entrata in esercizio degli impianti e ripescaggio degli impianti autorizzati.
La bozza non soddisfa neppure le lobby del settore. “Il nuovo decreto, se approvato, escluderebbe circa il 90 per cento di impianti idroelettrici prontamente cantierabili, già in possesso di concessione e autorizzazione, che hanno di fatto superato tutte le valutazioni di carattere ambientale previste dalla normativa nazionale e che stanno già pagando i canoni di concessione richiesti a partire dalla data di assegnazione”, denunciano in un comunicato congiunto Elettricità Futura, Assimpidro, Federidroelettrica e Utilitalia. Per Utilitalia, l’associazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici di acqua, ambiente, energia elettrica e gas, il testo attuale introduce una forte limitazione all’accesso agli incentivi per impianti idroelettrici di nuova costruzione. Non solo. Esclude anche “l’ampia platea di impianti idroelettrici già in possesso di concessione e/o autorizzazione, che hanno di fatto già superato tutte le valutazioni di carattere ambientale previste dalla normativa nazionale”. Per Assoidroelettrica “il taglio degli incentivi previsto nel testo sarà un danno irreparabile per l’intera filiera, tutta made in Italy”.
Preoccupazione è espressa anche dagli ambientalisti. D’altra parte i numeri sono inequivocabili. Gli impianti autorizzati e realizzati nell’ultimi decennio sono aumentati, oltre misura. Si è passati dai 1270 del 2009 ai 3085 del 2017. In compenso la produzione e la potenza installata è rimasta sostanzialmente invariata. Il che significa energia per la collettività pressoché immutata, a fronte di più zone di diversi territori profondamente alterati. Lo dimostrano i report locali e regionali. Come quello di Legambiente Valle d’Aosta, per cui il quadro dello stato dei corsi d’acqua, emerso dalle rilevazioni dell’Arpa effettuate negli anni 2016 e 2017, indica che “tutti i torrenti valdostani sono derivati a scopo idroelettrico per una percentuale del loro percorso compresa tra l’80 e il 100 per cento”. Ma sono i singoli casi, soprattutto nelle Regioni del Nord, ad indiziare che una sorta di moratoria sia indispensabile. Le centraline sul Rio Vasca, fiume Toce e sul torrente San Bernardino in Piemonte. Come quelle sui torrenti Arnò, Palobbia, Noce in Trentino Alto Adige. Allo stesso modo quelle sul fiume Piave e sui torrenti Chiampo e Ru Bosco in Veneto e sul Piave e i torrenti Alberone e Leale in Friuli Venezia Giulia. Centraline quasi sempre impiantate, con la contrarietà di amministrazioni e comunità locali.
Il problema esiste, è indubitabile. Come il rischio per l’Italia di incorrere in una procedura di infrazione alle Direttive europee acqua habitat e Via, considerato la grande quantità di impianti realizzati negli ultimi anni contro la normativa europea. Al momento si è in una fase di pre-contenzioso, a causa delle procedure autorizzative, di competenza delle Regioni, di questi impianti.
Il problema esiste e coinvolge anche gli scenari politici. Le divisioni tra Lega e M5s infatti esistono anche sull’idroelettrico. I Cinquestelle vogliono una chiusura per aumentare la tutela ambientale, mentre il Carroccio vuole tutelare una fonte rinnovabile programmabile e locale, che può portare reddito in aree disagiate. Uno scontro che vede confrontarsi il sottosegretario allo Sviluppo, Davide Crippa, che ha le deleghe, e il ministro all’Ambiente Sergio Costa da una parte, e il sottosegretario Vannia Gava e il senatore Paolo Arrigoni, responsabile per la Lega del dossier energia, dall’altra.
Una contrapposizione apparentemente inconciliabile almeno per ora, nonostante Crippa sostenga che “la discussione è aperta”. Per Gava la bozza di decreto è “una penalizzazione inconcepibile”, secondo Arrigoni è “un inconcepibile attacco all’idroelettrico, importante settore che rappresenta nel nostro Paese il 40 per cento dell’energia elettrica rinnovabile, strategico in quanto unico programmabile”. Anche il vicepremier Luigi Di Maio è intervenuto sulla questione, ricordando in un question time di novembre “le numerose proteste pervenute nell’ultimo anno da parte di vari territori intensamente interessati dalla nascita di piccoli impianti idroelettrici”. Resta da capire se il decreto avrà la meglio e se il decreto supererà l’esame della conferenza Stato-Regioni senza stravolgimenti.