Società

Teatro San Carlo: noi gli aristocratici ‘imbucati’, loro gli intoccabili in poltrona

Caro governatore Vincenzo De Luca,
le scrivo perché il San Carlo mi sta veramente a cuore e come Lei vogliamo che sia gestito al meglio delle sue potenzialità.

Ma dove va a finire quella barca di soldi che il più bel teatro al mondo – come dicono in tanti – riceve ogni anno? Parliamo di 12 milioni di euro all’anno. Il San Carlo è un’impresa e dovrà pur dar conto di costi e benefici a qualcuno o deve continuare a essere una macchina succhia/soldi pubblici? Basterebbe prendere a modello La Scala di Milano o il Festival di Salisburgo (ero ospite alla prima al Salzburg Easter Festival, lo scorso marzo). Strutture che si reggono da sole grazie ai finanziamenti privati mentre il San Carlo racimola, privatamente, pochi spiccioli. Come ha ricordato Milena Gabanelli di recente sul Corriere, parlando dei deficit mostri del mondo della lirica.

A invitare Riccardo Muti e fare il pienone sarebbe capace anche mio figlio. La mise en scene di una strepitosa Kat’a Kabanova, co/produzione ceca/tedesca, richiederebbe invece uno sforzo in più da parte di chi dovrebbe “comunicare” e cioè, ufficio stampa e marketing. La signora Emmanuela Spedaliere (mi raccomando la doppia “m”, anche se è stato un errore all’anagrafe per lei è diventato un vezzo) ricopre da tempo il prestigioso incarico di direttore Marketing e Affari Istituzionali, la sua è stata una mirabolante carriera, ma alla acclamata Prima (e che Prima) il teatro era mezzo vuoto. Non si è palesato neanche un mezzo sottosegretario. Alla seconda replica è andata peggio, me lo ha riferito la contessa Costanza Tasca volata appositamente da Palermo. L’aveva vista ad Amburgo e ha trovato la rappresentazione del San Carlo di grandissimo pregio. Alla terza replica ancora peggio… Peccato, il teatro poteva giocarsi la carta sempre vincente della internazionalità.

Anche avvicinare i giovani al teatro si può, a prezzi agevolati, anzi, si deve. E vedere l’altra sera al Madre 1500 ragazzi in fila per le coreografie danzanti di Mapplethorpe inondava gli occhi.
Mentre quella platea riempita a macchia di leopardo, alla Prima, non è stato proprio un bel vedere. Neanche per me dal loggione, ultimissima fila di palchi. Come era già successo con Muti, adocchiato un posto libero in platea mi sono precipitata a riempirlo.

Ringrazio comunque il garbatissimo direttore artistico Paolo Pinamonti. Già, perché la signora Annalisa Rinaldi, responsabile ufficio stampa, era troppo impegnata a informare stampa nazionale e internazionale della Kat’a Kabanova e i risultati di botteghino sono sotto gli occhi di tutti. Solo grazie a Pinamonti, un vaso di cristallo in mezzo a coriacee corazze, ho ottenuto due accrediti. La signora S. sa contare molto bene e mi ha ricordato che ero seduta in 17esima fila. Con la stessa pignoleria con la quale la duchessa/melomane Melina Pignatelli l’ha introdotta al mondo istituzionale mi scrive testuale: “Nel periodo del circolo dell’unione duca Piromallo di Capracotta, molti soci passavano dalla porta che condividiamo dietro il palco reale per evitare di pagare il biglietto, costringendo il commissario di governo a chiuderla definitivamente, quindi eri ospite non solo tu ma tanti altri…”. Ecco la signora con grande stile ci ha dato a tutti degli imbucati.

Mio zio, fratello di mio padre, ha avuto per quasi mezzo secolo l’abbonamento turno A e per anni anche i miei genitori. La questione riguarda un piccolo privilegio di casato che consentiva ai vecchi soci durante l’entre/act di ritornare al circolo a bere uno champagnino. Anche se è molto più folcloristica l’immagine di tanti soci che approfittando del sipario calato sgattaiolavano ad occupare i posti vuoti dei palchi. Scrissi io personalmente una mail a nome di mio zio al signor Nastasi che allora si sentiva il padreterno in terra napoletana e mi rispose sgradevolmente. Cambiati i giochi di potere Nastasi aspetta un nuovo rimpasto.

Ultima chiosa apprezzo molto la forma plurale usato dalla signora S. – “Dalla porta che condividiamo” – considerando il teatro San Carlo come fosse casa. E di fatto un po’ lo è. Solitamente chi produce conti da profondo rosso, dopo un po’ viene mandato a casa e si cambia la cabina di regia. Ci ha provato de Magistris, ci ha provato anche Lei. Per il momento va in pezzi solo la cupola della Galleria Umberto. Auguro a Lei e alla signora un gioioso Natale!

P.S. Buon Natale anche alla solerte signora Rinaldi che l’indomani del pezzo su Muti mi scriveva che Philippe Foriel-Destezet che ha contribuito al restauro dell’antico sipario non gradiva essere chiamato mecenate/miliardario. Come è attenta la signora Rinaldi a non offendere la sensibilità altrui… anche perché è notorio che i mecenati siano poveri in canna.

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