Ripropongo anche quest’anno per le feste natalizie i miei consigli per gli ascolti di alcune tra le migliori proposte di canzone d’autore italiana. Qui parlerò di Chiara Dello Iacovo e del suo disco di recentissima uscita: Epìgrafe, che si presenta come un concept-album, sia nelle parole che nella musica. Le canzoni vanno ascoltate rigorosamente in ordine: sono otto, senza fronzoli, come si faceva un tempo, quando i brani erano solo i necessari e non anche quelli necessariamente riempitivi.
Il brano d’apertura, Primordiale, descrive una cosmogonia. Chiara Dello Iacovo esordisce con una canzone rigorosa e pulita nella scrittura dei versi. Direi che in tutto il disco la cantautrice dimostra di avere una penna deliziosa, colta ma orizzontale, e un gran gusto per la rima. Qui però ci tiene a mettere le cose in chiaro e il brano ha una precisione al limite dell’intransigenza.
Dicevo che il disco va ascoltato in ordine, perché anche musicalmente c’è una propedeuticità da rispettare: per esempio il brano Primordiale gioca molto sulla realtà scarna di una cellula melodica ribattuta, che scandisce il ritmo e non lascia spazio a fraintendimenti. Man mano che si prosegue nel disco si passa sempre più dalla narratività delle strofe al rock-pop molto suonato dei ritornelli ripetuti. È come una costruzione tassello per tassello.
È così che Chiara Dello Iacovo ci racconta non solo il suo intimo, come troppe canzoni italiane malate di impressionismo innocuo, ma è capace anche di lanciare accuse verso una società indecente, come nel brano Nessuno sposta i piedi, che probabilmente contiene i versi più belli dell’intero album: “Donne che si amano attraverso una borsetta,/ la vita che precipita nel vuoto senza fretta./ Ma in fondo basta un attimo a tirare la catena,/ siamo come tartarughe rovesciate sulla schiena/ con la pancia al firmamento/ a cercar la traiettoria,/ a sperare che il finale ci migliori anche la storia./ Ma mi astengo e tiro i dadi/ aspettando la fortuna./ Sono solo un marciapiede innamorato della luna”, con i settenari che preparano sapientemente la deflagrazione del liberatorio doppio ottonario. Chapeau.
Rispetto ad Appena sveglia, il disco precedente del 2016 – che pure votai per la Targa Tenco –, la cantautrice acquista più consapevolezza, spesso cambiando il punto di vista della narrazione. Sembra avere anche più dimestichezza e plasticità “cinematografica” nel racconto in canzone.
Dopo la vittoria del premio della critica a Musicultura e il secondo posto a Sanremo giovani, Chiara si è fermata per due anni, e sembra raccontare tutto in Presunto decesso. Dal racconto pare non potesse andare diversamente, cioè che sia stato un atto dovuto per non ritrovarsi in futuro a dover essere “il risultato di una scelta di partenza/ errata”. E allora viene in mente la sensazione di chi in battaglia si finge morto per non essere massacrato dal nemico, unico modo per salvarsi la vita e ripartire. Probabilmente ha dovuto ricondurre il tutto a una dimensione più umana: è la sensazione che dà questo disco in confronto al precedente.
Come detto, l’album si presenta come un concept musical-letterario e la puntata successiva è l’esaltazione della realtà pragmatica, della costruzione fattiva delle cose nel brano In pratica. Dopo di che torna la morte, che d’altra parte è il tema portante, come da titolo. Si sente il bisogno di un gesto definitivo, ed è così che, nel brano Devo ucciderti, la cantautrice trova un sottile e raffinato equilibrio tra i sogni e il pragmatismo, in un momento topico da resa dei conti, che restituisce così l’iniziale incedere armonico di pianoforte da cui presumibilmente è nata l’intera canzone, scandito nei versi: “Ti aspettavo sulla vetta./ Principessa c’è chi grida e chi balbetta:/ se facciamo un po’ ciascuno/ abbracciamo un po’ il declino/ e il dolore sarà solo un’altra forma di carezza”.
Ciò che non uccide, fortifica. Ecco, se è vero, si spera che, tra quel grido e quel balbettio, sia definitivamente ripartito l’equilibrio creativo di una delle più promettenti penne della canzone d’autore italiana.
Io direi che con questo lavoro Chiara Dello Iacovo si candida prepotentemente… anzi no, questa parola non le appartiene: si candida con estrema classe alla Targa Tenco più importante, quella per il miglior disco dell’anno in assoluto.