“Il blocco delle assunzioni previsto nel maxiemendamento è la dimostrazione di una politica compulsiva e contraddittoria. Sa come hanno fatto a risparmiare in questi anni le università?Hanno assunto i propri ricercatori. Se fino al 16 novembre 2019 viene tutto congelato, gli atenei dovranno pagare gli esterni per le docenze”. Giandomenico Dodaro, rappresentante dei ricercatori della Bicocca di Milano, interviene sul comma 208 bis della manovra. Quattro righe in cui si specifica che “per l’anno 2019, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i Ministeri, gli Enti pubblici non economici, le Agenzie fiscali e le Università, in relazione alle ordinarie facoltà assunzionali riferite al predetto anno, non possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica anteriore al 15 novembre 2019”.
Il testo ha preoccupato gli atenei e in particolare gli oltre 1200 di Tipo B (RTDb) assunti con la legge Gelmini (n. 240/10 del 30 dicembre 2010 all’articolo 24) nel 2016. Contratti triennali non rinnovabili e che, quindi, scadono proprio nel 2019. Un tam tam cresciuto sui social e negli ambienti universitari, tanto da fare intervenire il viceministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che in un post su Facebook ha chiarito quali sono le categorie escluse dal congelamento. E tra loro rientrano anche gli RTDb.
In pratica, spiega Dodaro, il 208 bis blocca “i concorsi di associato e di ordinario che vanno a valere sui punti organico del 2018 qualora non sia ancora stato emanato il bando o sui punti 2019″. Sospende quindi i passaggi da ricercatore a tempo indeterminato ad associato e da associato a ordinario. I ricercatori di tipo A, invece, essendo a tempo determinato, non sono toccati. Il blocco però ha conseguenze anche sui docenti: se l’abilitazione scade dopo il 16 novembre, cioè al termine del periodo fissato dal comma, possono partecipare ai concorsi. Ma se l’abilitazione scade durante il blocco, dovranno aspettare i tempi della burocrazia per richiederla. E fino alla fine di tutte le procedure e alla valutazione della commissone, niente concorsi. “Questo sistema comporta due rischi: da una parte che l’abilitazione dei docenti scada. Dall’altra costringe gli atenei a erogare didattica a pagamento dando il corso o a esterni o a ricercatori a tempo indeterminato, pagandoli. O si chiede al personale interno di sacrificarsi e continuare a fare didattica”, spiega Dodaro. “Abbiamo perso personale e bloccano le assunzioni i problemi si aggravano. Temporaneamente? Sì, ma comunque si aggravano”.
Il caso dei ricercatori di Tipo B – Prima del post di Fioramonti erano tante le preoccupazioni tra i RTDb. Tra loro anche Edoardo Datteri dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. L’anno prossimo, visto che ha già l’abilitazione – e dopo la valutazione di una commissione -, diventerà professore associato. Questo tipo di contratto infatti è nato proprio per stabilizzare chi, come lui, ha alle spalle anni e anni di precariato. Nel suo caso sono “14 anni, escludendo gli ultimi 3 da ricercatore”. “Se c’è un blocco delle assunzioni nel 2019 – aveva detto Edoardo a ilfattoquotidiano.it -, cosa succederà a chi come me scade durante quel blocco?”. Perché, come prevede la legge, “alla scadenza dello stesso” contratto triennale attraverso il quale è stato assunto deve essere inquadrato nel ruolo di associato. “Questo sempre ‘nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione‘, ovvero se ci sono soldi – specifica Edoardo -. Ma se ‘alla scadenza dello stesso’ vige il blocco, si dirà che non c’erano soldi e quindi il ricercatore non passerà, venendo estromesso dal sistema universitario?”. Tecnicamente è così, visto che la legge Gelmini prevede un vincolo di continuità totale tra la scadenza del contratto di Tipo B e quello di associato. In pratica, “se al terzo anno non diventano professori associati, nella stragrande maggioranza dei casi non potranno avere altri contratti di nessun tipo da qualsiasi università e saranno di fatto fuori dal sistema universitario“. Dato il testo della legge Gelmini si trattava di una considerazione legittima, che ora è stata chiarita da Fioramonti.
“I precari delle Università non meritano questo pacco“ – A insorgere era stata anche Arted, associazione dei ricercatori a tempo determinato, che ha parlato di “pacco di Natale” per i ricercatori in generale, e ancor più per quello di Tipo B. “Cosa ne sarà degli oltre 1200 RTDb assunti nel 2016, che in caso di conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale, dovrebbero essere inquadrati come professori associati al termine del proprio triennio, che si chiuderà proprio nel 2019? Tornano a casa? Restano un po’ di mesi (o anni) senza stipendio? I docenti ed i ricercatori precari dell’Università non meritano questo pacco sotto l’albero”. E chiedendo il ritiro immediato delle assunzioni dalla legge di stabilità specificavano che “nella legge finanziaria ci sono fondi per 1.000 posti da RTDb (al momento non si sa però se siano per chi entra o chi è in scadenza, ndr), figura di ricercatore che – se abilitata – può essere stabilizzata come professore associato al termine del proprio triennio, ma tale numero è piccolo se consideriamo che nel 2019 sono previsti circa 1.700 pensionamenti. E diventa minuscola se confrontata con i 16.000 docenti di ruolo persi, ed i 40.000 che anelano la stabilizzazione”. Sulla norma, oltre a decine di ricercatori sui social, era intervenuto anche il rettore di Ca’ Foscari di Venezia, Michele Bugliesi, con un tweet. “Il Decreto dignità doveva contrastare la precarietà. Non per i ricercatori e il personale universitario, evidentemente. Loro possono aspettare e sperare. Nella pensione quota 100 o nel reddito di cittadinanza?”.
“Il rettore ci scherzava su, ma la situazione è seria – conclude Dodaro -. Col blocco delle assunzioni bisogna spendere soldi per pagare docenze esterne e si creano problemi enormi per la programmazione e gli investimenti. Forse questi aspetti non sono stati tenuti in considerazione. Col 208 bis, oltre ai ricercatori a tempo indeterminato e agli associati con l’abilitazione in scadenza, si va a colpire ancora una volta l’anello più debole: i precari universitari, che comunque alle spalle hanno spesso lunghi percorsi di ricerca. Ma è con le assunzioni che si riducono le spese”.