Il maxi-emendamento modifica la legge 410 del 2001 e consente al privato che acquista un immobile dallo Stato di saltare a piè pari la fase dell’accordo di programma e della conferenza di servizi, senza che gli enti locali possano avere voce in capitolo. Bonelli, Turroni e Mannino: "Nemmeno il governo Berlusconi pretese di passare sopra le decisioni dei Comuni"
Il palazzo degli Esami e l’ex ospedale San Giacomo a Roma che diventano degli enormi centri commerciali kitsch. Palazzo Serafini e Palazzo delle Poste a Firenze trasformati in alberghi o immobili residenziali rivenduti a peso d’oro. Le ex caserme dei Carabinieri messe in vendita dal Comune di Milano trasformate in bingo, sale slot o, dove possibile, sexy shop. Il tutto, senza la necessità di adeguarsi ad alcun vincolo architettonico imposto dai Comuni. E’ lo scenario reso possibile da una norma, inserita nel maxi-emendamento del governo alla manovra finanziaria in corso di approvazione in Parlamento, voluta dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria per favorire il recupero di circa 1 miliardo nel 2019 grazie all’alienazione dei beni immobili del Demanio nelle principali città italiane. “Neppure Berlusconi con la sua legge del 2001 era arrivato a tanto”, protestano gli ambientalisti in rivolta.
Il comma 546-bis all’articolo 1 va a modificare proprio la legge 410 del 23 novembre 2001, che all’articolo 3, comma 15, affermava: “Ai fini della valorizzazione dei beni il Ministero dell’economia e delle finanze convoca una o più conferenze di servizi o promuove accordi di programma per sottoporre all’approvazione iniziative per la valorizzazione degli immobili individuati”. L’emendamento attuale dice che “oltre” questa procedura “per gli immobili oggetto di tali provvedimenti sono ammissibili anche le destinazioni d’uso e gli interventi edilizi consentiti, per le zone territoriali omogenee all’interno delle quali ricadono tali immobili, dagli strumenti urbanistici generali e particolareggiati vigenti”; inoltre “gli interventi edilizi […] sono assentibili in via diretta”. Tradotto, il privato che acquisti un bene immobile dallo Stato può saltare a piè pari la fase dell’accordo di programma e della conferenza di servizi, decidendone direttamente la destinazione e anche lo “stile” – in base alle esigenze commerciali – senza che gli enti locali (comuni in primis) possano più avere voce in capitolo. Restano, con la dicitura “interventi edilizi consentiti”, solo i vincoli generali imposti nei centri storici, come ad esempio a Roma dove recentemente la sindaca Virginia Raggi ha escluso i sexy shop e allontanato le sale slot da scuole e punti di aggregazione. Vincoli “generali”, appunto.
“M5S e la Lega hanno deciso di sfasciare e vendere alla speculazione edilizia i centri storici delle nostre città”, attaccano Angelo Bonelli, Sauro Turroni e Claudia Mannino, esponenti dei Verdi, i primi ad accorgersi dell’entità nel provvedimento del Governo. “Nel 2001 il governo Berlusconi – racconta Bonelli – cercò di cartolarizzare immobili pubblici dello Stato, delle Regioni, di Province e comuni nonché delle Ferrovie o di altri enti con l’obiettivo di fare cassa. Ma neppure lui pretese di passare sopra le decisioni dei Comuni per stabilire un utilizzo che non fosse in conflitto con l’assetto urbano, impoverendolo di servizi e attrezzature”. Sul punto, l’attacco forte anche di Loredana De Petris, parlamentare di Leu e capogruppo del Misto al Senato: “In questo modo il governo sta andando contro la Costituzione in materia di assetto del territorio”. Il riferimento della senatrice è al Titolo V della Carta, articolo 117, in cui appunto si parla di “governo del territorio” fra le prerogative degli enti locali.
Fra le città maggiormente interessate dal provvedimento ci sono Roma e Firenze. Solo nella Capitale, ad esempio, attualmente l’Agenzia del Demanio tiene in vendita ben 88 immobili – a loro volta suddivisi in lotti – fra edifici residenziali, negozi e caserme. Ma almeno un altro centinaio potrebbero essere interessati in futuro dalla procedura. Per ora dal Campidoglio non arrivano commenti in merito, ma è duro l’attacco dell’ex assessore e urbanista, Paolo Berdini: “Si tratta di un provvedimento gravissimo che mette a rischio gli assetti del centro storico di Roma e delle altre principali città italiane così per come li conosciamo. Una legge fatta per fare cassa che non tiene alcun conto di fattori storico-architettonici unici al mondo”. Due i casi più controversi verificatisi negli ultimi mesi nella Capitale. Da una parte, le controverse demolizioni di alcuni villini in stile liberty nello storico Quartiere Coppedè, fra le vibranti proteste di Italia Nostra; dall’altra, la Soprintendenza Archeologica di Roma che è dovuta intervenire per apporre un vincolo storico alla cessione di Palazzo Nardini a una società che voleva realizzare una “struttura ricettiva” nell’edificio – di proprietà della Regione – che fu primo punto di riferimento del movimento femminista italiano.