Sei condanne e due assoluzioni. Si è concluso in primo grado il processo “Ricatto”. Alla sbarra il “branco” di Melito Porto Salvo che ha aveva abusato per due anni di una minorenne. La sentenza è arrivata oggi pomeriggio quando il presidente del Tribunale di Reggio Calabria, Silvia Capone, ha confermato l’impianto accusatorio della Procura. Il pm Francesco Ponzetta, nella sua requisitoria, aveva chiesto pene più pesanti (circa 80 anni di carcere). I principali imputati tuttavia sono stati condannati. Tra questi il rampollo della cosca di Melito Porto Salvo Giovanni Iamonte, al quale sono stati inflitti 8 anni e 2 mesi reclusione. È il figlio del boss Remingo e nipote del mammasantissima don Natale Iamonte, deceduto diversi anni fa dopo un lungo periodo di latitanza conclusasi con il suo arresto nell’hinterland milanese.

Dal processo “Ricatto”, in primo grado sono usciti colpevoli anche Davide Schimizzi che a preso la pena più pesante (9 anni e 6 mesi di carcere), Antonio Verduci (7 anni), Michele Nucera (6 anni e 2 mesi), Lorenzo Tripodi (6 anni) e Domenico Mario Pitasi (10 mesi di reclusione). Quest’ultimo rispondeva solo di favoreggiamento personale. Sono stati, invece, assolti, Daniele Benedetto e Pasquale Principato per i quali il Tribunale ha disposto l’immediata scarcerazioneTornano liberi, in attesa della sentenza definitiva, anche gli altri imputati ad eccezione di Davide Schimizzi e Giovanni Iamonte (che vanno ai domiciliari) e Antonio Verduci per il quale è stato disposto l’obbligo di firma.

L’inchiesta ha preso il via nel settembre 2016 quando i carabinieri hanno arrestato gli imputati di Melito Porto Salvo con l’accusa di aver abusato di una ragazzina di 13 anni che pensava di amare Davide Schimizzi, più grande di lei (all’epoca aveva 19 anni), fino a quando non si è ritrovata ad essere il “giocattolo” del branco. Costituitasi parte civile, assieme ai suoi genitori e al fratello, il Tribunale ha disposto anche il risarcimento dei danni nei suoi confronti. Complessivamente 200mila euro che gli imputati condannati dovranno versare in solido alla ragazzina la cui storia è venuta fuori grazie a una fonte confidenziale che ha informato gli investigatori di cosa stava avvenendo nella cittadina del basso Jonio reggino. Ma anche grazie a una insegnante che, dopo aver letto un tema scritto dalla ragazzina, ha subito segnalato la situazione di disagio.

Gli imputati sono stati condannati per violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata, atti persecutori e lesioni personali aggravate. Il processo ha confermato l’impianto accusatorio della Procura. È emerso, infatti, che la storia tra la ragazzina e uno degli imputati si era trasformata in un incubo nel quale il rampollo del casato mafioso, Giovanni Iamonte, l’avrebbe costretta ad avere rapporti sessuali non solo con lui ma con un numero sempre più ampio di amici.

Tra la fine del 2013 e gli inizi del 2015, il branco l’aspettava fuori dalla scuola per portarla in luoghi dove poi subiva le violenze che spesso avvenivano anche in gruppo.“Si sono stati quei ragazzi. Hanno voluto che facessi cose contro la mia volontà”. La minorenne, interrogata durante il processo, ha confermato quello che aveva riferito ai carabinieri: non poteva sfuggire ai suoi aguzzini perché ricattata da questi che la minacciavano di divulgare alcune sue foto intime.

Tra gli imputati condannati, ma non per le violenze, c’è anche Mario Domenico Pitasi. È il ragazzo con il quale l’allora tredicenne aveva cercato di allontanarsi iniziando una normale relazione sentimentale. Pitasi, però, è stato vittima anche lui del branco che, con una vera e propria spedizione punitiva, si era “riappropriato” della ragazza sicuro che il suo nuovo fidanzato non avrebbe mai sporto denuncia per paura della cosca Iamonte.

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