L'INTERVISTA - Il 17 dicembre Hadházy Ákos è stato scaraventato a terra dalla security del palazzo della tv di Stato perché aveva provato a entrare e chiedere di leggere un comunicato dei manifestanti che da giorni riempiono le strade di Budapest: "Non c'è una linea rossa che divide democrazia e dittatura, ma esiste un punto di non ritorno. Ed è stato superato. Il premier usa i fondi Ue per consolidare il suo potere"
Hadházy Ákos è il parlamentare ungherese scaraventato a terra dalla security del palazzo della tv pubblica perché aveva provato a entrare nell’edificio e chiedere di leggere un comunicato dei manifestanti che da giorni riempiono le strade di Budapest per protestare contro il governo di Viktor Orbán. Fino al 2013 membro di Fidesz, il partito del premier, e fino a questa estate esponente dei Verdi, oggi è indipendente. E’ impegnato soprattutto nella lotta alla corruzione.
Siamo al 9° giorno di proteste contro il governo. Perché andate in piazza?
“Le proteste sono nate a causa di quella che è stata ribattezzata ‘legge schiavitù’, che permette ai datori di lavoro di richiedere 400 ore di straordinari in un anno ai propri dipendenti. Oggi questa mobilitazione è diventata qualcosa di più: stiamo protestando contro regime infame e corrotto costruito da Viktor Orbán negli ultimi otto anni”.
Questa nuova legge nasce per rispondere alla mancanza di manodopera nel Paese. Le vostre politiche migratorie, però, vanno in tutt’altra direzione.
“Non esiste alcuna immigrazione di massa in Ungheria, solo la propaganda di Stato la usa come strumento per spaventare i cittadini parlando di orde di migranti. In realtà, centinaia di migliaia di persone hanno lasciato il Paese, soprattutto a causa dei salari bassi. È questa la ragione dietro la mancanza di manodopera. Il mercato del lavoro è uno dei più grandi castelli di carte in questo Paese: sembra in buono stato, ma è garantito che collasserà”.
Il 17 dicembre lei e altri parlamentari siete entrati nel palazzo della tv di Stato per leggere in diretta le motivazioni che hanno spinto le proteste. È un vostro diritto farlo?
“Come membri del Parlamento abbiamo il diritto di entrare nell’edificio, ma non siamo giornalisti, quindi non possiamo e non volevamo leggere le richieste personalmente. Volevamo parlare con il direttore, ma non è stato possibile incontrarlo. Hanno bloccato le porte della redazione e l’unica persona che ci ha rivolto la parola è stato il capo della sicurezza. Questo è scandaloso, ci ha minacciato di portarci in prigione perché ‘disturbavamo il regolare svolgimento di lavoro pubblico’”.
Hanno usato violenza?
“In quel momento no. Noi abbiamo deciso di rimanere lì e attendere di incontrare il direttore o un dirigente della tv. Durante la mattinata, le guardie sono cambiate e le nuove sono arrivate armate e minacciose. Ho cercato di eludere i controlli per salire ai piani superiori e raggiungere l’ufficio dell’amministratore delegato, ma a quel punto hanno usato la forza: sono stato agguantato da 4 uomini, spinto a terra e buttato fuori dall’edificio. Hanno cacciato nello stesso modo anche la mia collega, Bernadett Szél. Questo è un attacco senza precedenti all’immunità parlamentare”.
Adesso? Avete in mente altre azioni?
“Ci muoviamo su sentieri sconosciuti. L’illusione del consolidamento della democrazia in Ungheria è andata in frantumi. Spero solo che non siamo diventati come la Russia di Putin o la Turchia di Erdoğan. Non sappiamo come comportarci con un regime semi-dittatoriale, lo stiamo imparando solo adesso. Di una cosa sono sicuro: non dobbiamo fermarci, dobbiamo essere ostinati. Non possiamo prendere parte a questa commedia e far finta che l’Ungheria sia un paese democratico. Abbiamo combattuto contro la propaganda di Stato e l’incredibile livello di corruzione. Dobbiamo organizzarci e dar vita a un network a livello nazionale”.
Quindi, a suo parere, l’Ungheria non sarebbe più una democrazia?
“Non ne sono sicuro. Non esiste una linea rossa che divide democrazia e dittatura. Questa è una transizione. Penso però che esista un punto di non ritorno e mi dispiace dire che questo punto è stato superato. Ma mai arrendersi: dobbiamo guardare avanti, abbiamo un sacco di lavoro da fare”.
A proposito, a livello parlamentare quali azioni avete intrapreso per opporvi alle misure del governo?
“Dopo più di otto anni (di governo Orbán, ndr) sappiamo esattamente cosa aspettarci dal Parlamento. Il partito di governo ha una maggioranza di due terzi e i rappresentanti di Fidesz sono come robot, votano a favore di qualsiasi proposta del governo e contro tutte quelle che arrivano dall’opposizione. Come ho detto, è una commedia”.
La sua attività come parlamentare si è concentrata sulla lotta alla corruzione. Mi ha appena detto che questo è uno dei principali problemi del Paese. È anche interno all’amministrazione Orbán?
“Questo è il problema principale. Come ha detto anche una delle menti di Fidesz: ‘Ciò che definite corruzione è la principale politica di Fidesz’. Usano i fondi europei, che non sono soldi di Bruxelles, ma di tutti i cittadini dell’Unione, anche dei contribuenti italiani, per costruire un regime solido. Qualche alleato e membro della famiglia Orbán ne ha tratto immensi benefici” (come raccontato in un’inchiesta pubblicata nell’ultimo numero di FQMillenniuM, ndr).
Lei è stato membro di Fidesz fino al 2013. Perché ha abbandonato? Ha notato questi problemi legati alla corruzione quando era all’interno?
“Ero consigliere nella mia città (Szekszárd, ndr), quindi ho visto cosa stava succedendo. Ho dovuto votare alcuni casi sospetti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è quello che è stato ribattezzato il ‘Tabaccogate’. Il sindaco e i membri del Parlamento della nostra città vennero da noi membri di Fidesz con la lista di chi aveva fatto domanda per le concessioni nazionali sulla vendita di tabacco e ci chiesero chi fossero queste persone perché volevano affidare le concessioni a ‘persone fidate’ e non ai ‘comunisti’. Alcuni consiglieri hanno anche ottenuto il permesso di aprire negozi nei quali si poteva vendere tabacco. A quel punto non potevo rimanere in silenzio”.
Tanto da portarla a dichiarare, qualche mese fa, che Orbán si meriterebbe di scontare dieci anni di carcere…
“Perché è vero, se lo meriterebbe. Ma prima di tutto dobbiamo sconfiggerlo con elezioni imparziali”.
Lei ha fatto riferimento all’Europa. Come crede si stia comportando nei confronti del governo Orbán?
“Sono veramente deluso, prima di tutto dal comportamento del Partito Popolare Europeo (Ppe). Le istituzioni europee, a mio parere, riconosceranno ciò che sta accadendo in Ungheria e che il governo Orbán sta rubando i soldi dei contribuenti europei. Anche questa è una transizione e sarà doloroso quando Bruxelles chiuderà i rubinetti dei fondi europei. Ma il Ppe sta evitando lo scontro con Fidesz, non danno certo prova di gran coraggio”.