LE SORELLE DONGURI – Banana Yoshimoto (Feltrinelli, 2018)
Ebbene sì, dopo venticinque anni sdoganiamo la Yoshimoto. La storia breve (106 pagine) di Guriko e Donko (le sorelle Don-Guri) è un libro dolorosamente pieno di speranza e amore per la vita. Una cavalcata minimal, in pieno stile Banana, nella vita travagliata ma mai disperata delle due protagoniste. Guriko taciturna e introspettiva, Donko più indipendente e intraprendente, rimaste orfane, vanno a vivere a casa di diversi parenti. Poi alla morte del nonno ereditano il suo appartamento e aprono un sito web modello posta del cuore. Intanto Duriko continua ad inanellare fidanzati e Guriko a raccontare le proprie intime sensazioni sugli accadimenti del quotidiano e del recente passato. La lingua che la Yoshimoto fa parlare alla sua voce narrante (Guriko) è qualcosa di straordinariamente controllato e modulato attorno ad un chiacchiericcio che fa dell’ingenuità e della purezza di spirito, della dolcezza e delle incursioni buffe nello spiritismo un motivo naif di originalità letteraria.
Inoltre c’è qualcosa di ipnotico e grazioso nella descrizione di alcune tracce di cultura giapponese, il significato filosofico di questa sensazione di rallentamento e dilatazione dei sensi che permea il racconto. Il wabi sabi, la visione del mondo fondata sull’accettazione della transitorietà della cose che racchiude tre concetti: il mushin (il lasciar correre senza cercare la perfezione), l’anicca (l’impermanenza, ogni cosa è destinata a finire), mono no aware (una malinconia triste per la decadenza degli oggetti in modo da ammirarne la bellezza). “Non mi voglio sposare, delle storie d’amore a me piace solo il periodo iniziale. Quando per essere felici basta un niente. È sufficiente respirare per stare bene”. Con parecchie foto in mezzo al testo con funzione narrativa. Rigenerante.