È giusto che i cinque bulli che hanno indotto al suicidio Carolina Picchio non vadano in galera? A prima vista mi è sembrato il solito perdonismo cattocomunista che lascia libere persone profondamente fuori di testa che torneranno a compiere crimini. Ho letto vari articoli dai quali si evince che il tribunale ha dichiarato l’estinzione del reato dopo un percorso di messa in prova. Quattro chiacchiere con un assistente sociale e via? A leggere molta stampa pare proprio di sì.
Per saperne di più ho telefonato all’avvocato della famiglia di Carolina, la dottoressa Anna Livia Pennetta, chiedendole un parere e aspettandomi da lei una reazione quantomeno delusa dalla sentenza. La signora Pennetta è stata molto cortese con me e mi ha raccontato come sono andate realmente le cose.
In effetti per questi bulli non è stata una passeggiata. L’istituto della messa in prova per i minorenni in questo caso gravissimo è stato applicato in modo molto esteso. I ragazzi innanzitutto hanno dovuto raggiungere risultati scolastici eccellenti. Poi hanno dovuto partecipare a incontri costanti con psicologi. Inoltre hanno dovuto partecipare ad attività solidali, lavorando con disabili e anziani. Periodicamente hanno avuto incontri con i giudici che hanno valutato se la messa in prova veniva seguita con costanza e se vi erano risultati. Un percorso lungo, che per uno degli imputati è durato 27 mesi, il tempo massimo previsto dalla legge.
L’avvocato Pennetta ha assistito agli interrogatori di questi ragazzi durante processo, prima della messa in prova e poi all’interrogatorio finale durante il quale i giudici sono arrivati alla decisione di dichiarare estinto il reato. Mi ha detto che è restata molto stupita dal cambiamento, le sembrava di avere di fronte degli altri ragazzi. È cambiato il loro modo di muoversi e di parlare, non soltanto le parole che hanno detto. Ad esempio, uno dei ragazzi le è sembrato realmente emozionato quando ha raccontato della sua esperienza di lavoro socialmente utile con un ragazzo disabile che lo ha ringraziato dopo che insieme erano riusciti a ottenere un progresso nella gestione della disabilità. La dottoressa Pennetta ha visto nel modo nel quale il ragazzo ha parlato una reale empatia. Un senso di scoperta del valore dell’impegnarsi insieme per dare qualche cosa di positivo. Insomma mi ha convinto che una volta tanto non si è trattato di perdonismo ma della realizzazione di un vero percorso di crescita umana.
Ancora una volta la qualità dell’intervento dello Stato dipende dalla qualità delle persone che lo realizzano. Non bastano leggi buone, servono donne e uomini capaci di trarne il meglio. Un peccato che questa storia sia stata censurata dai media. E a proposito di delitti e pene, sarebbe utile che gli italiani sapessero che i carcerati che seguono percorsi di crescita culturale, formazione professionale o artistica tornano a compiere reati in meno del 10% dei casi. I detenuti che non seguono nessun programma di reinserimento tornano a delinquere quasi nel 90% dei casi.
E in questo clima natalizio e buonista vorrei ricordare che in Italia sono all’opera i Pink Bloc, come i Black Bloc ma più gentili. La prima azione che abbiamo realizzato è stata un assalto alla sede centrale delle Ferrovie per indurre a più miti sentimenti verso i viaggiatori. Un gruppo di ballerini, maschi e barbuti, in tutù rosa, hanno danzato un’aria d’amore di Chopin. Ma è solo l’inizio!