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Luka Doncic, storia del 19enne sloveno che ha conquistato la Nba: leadership e talento, così è già diventato un’attrazione

Quasi 19 punti, oltre sei rimbalzi e più di quattro assist a partita. Queste le medie del playmaker sloveno dopo 31 partite in Nba. Cifre che negli ultimi 40 anni sono apparse solo fra le statistiche di altri quattro esordienti: Magic Johnson, Larry Bird, Michael Jordan e Grant Hill. Un fenomeno che, sbarcato tra entusiasmi e pregiudizi, sta dimostrando non solo di meritare la casacca dei Dallas Mavericks, ma di poter sedere fra i più grandi

The next big thing, El niño maravilla, l’erede di Drazen Petrovic. Previsioni, soprannomi e paragoni impegnativi (ma non troppo) per un ragazzo che ha saputo conquistare il Vecchio continente ancora prima di compiere 20 anni. Luka Doncic è un nome con cui chiunque abbia seguito il basket europeo nelle ultime tre stagioni non può non aver avuto a che fare. Un fenomeno che, sbarcato in una Nba divisa tra entusiasmi e pregiudizi, sta dimostrando non solo di meritare la casacca numero 77 dei Dallas Mavericks, ma di poter sedere fra i più grandi. Nonostante l’età.

I numeri di Luka – Quasi diciannove punti, oltre 6 rimbalzi e più di 4 assist a partita. Queste le medie del playmaker sloveno dopo 31 partite in Nba. Cifre che negli ultimi 40 anni sono apparse solo fra le statistiche di altri quattro esordienti: Magic Johnson, Larry Bird, Michael Jordan e Grant Hill. Numeri oltre ogni previsione per un ragazzo che dovrebbe frequentare il College e invece domina fra i giganti a stelle e strisce. Più delle cifre, tuttavia, a mettere “sulla mappa” il talento di Lubiana ci hanno pensato alcune prestazioni davvero illuminate. La campana della storia ha infatti suonato il suo primo rintocco il 18 novembre scorso, quando all’American Airlines Center di Dallas si sono presentati i campioni in carica di Golden State.

Le prestazioni da ‘big’ – Pur privi di Steph Curry e Draymond Green, i Warriors potevano contare sulla presenza di due all-star come Kevin Durant e Klay Thompson. E il confronto deve aver stimolato Doncic. Dimostrando una leadership e una sfrontatezza del tutto inappropriate per un rookie, Doncic si è caricato i Mavs sulle spalle, portando a spasso il suo diretto marcatore – Shaun Livingston, al 15esimo anno in Nba – e mettendo a referto 24 punti. Ancora meglio ha però saputo fare tre settimane più tardi, in occasione del derby texano contro gli Houston Rockets di James Harden e Mike D’Antoni. Nei minuti finali di una gara che l’aveva visto faticare con un deludente 3/13 dal campo, infatti, il numero 77 dei Mavericks ha infilato un parziale di 11 punti consecutivi, ribaltando da solo un match che sembrava ormai perso. Talento, carisma e un’innata capacità di entrare in ritmo quando ogni possesso diventa cruciale, fanno della matricola slovena una fra le più incisive attrazioni della Lega. Ma c’è un’immagine, non un canestro o una giocata da campione, che racconta più di ogni altra l’essenza di questa storia, quella di un adolescente capace prima di tutto di divertirsi sul campo. È Doncic che sorride, pugni al cielo e sguardo innocentemente felice, dopo aver servito un assist a un compagno che conclude il contropiede con una schiacciata.

Un giovane imperatore – Nato il 28 febbraio 1999, Doncic muove i primi passi nelle giovanili dell’Olimpija di Lubiana prima di trasferirsi, nel 2012, al Real Madrid. I dirigenti spagnoli decidono di metterlo subito alla prova, impiegandolo non con i pari età ma con ragazzi di due anni più grandi. E Luka non delude. Con la canotta dei blancos sboccia letteralmente, raggiungendo i due metri d’altezza, cannibalizzando ogni sorta di competizione giovanile e diventando il più precoce esordiente della storia del Madrid. È il maggio 2015, ha 16 anni, 2 mesi e 2 giorni quando fa il suo debutto nella Lega Acb. Ottimo rimbalzista, combina straordinarie qualità di passatore a un eccellente trattamento di palla. È letale sia in penetrazione che dalla lunga distanza. Un predestinato, insomma. Ma a sconvolgere più di tutto sono le sue capacità di “lettura” del gioco. Una comprensione di ciò che accade in campo totale, rintracciabile in un veterano (forse), certo non in un teenager.

Le vittorie in campo europeo – In tre stagioni con la prima squadra colleziona tre Campionati spagnoli, due Coppe del Re, un’Intercontinentale e un’Eurolega. L’agognata decima per il Real, conquistata lo scorso maggio e accompagnata dai titoli di Miglior giocatore di Spagna e d’Europa (Regular season + Final four). Mica male per un ragazzino imberbe, con l’istinto del killer e un’altra bella impresa alle spalle. Pochi mesi prima, infatti, nel settembre 2017, a sedersi accanto a lui sul tetto d’Europa era stata l’intera nazionale slovena, trascinata dalle giocate della sua giovane stella e dall’Mvp del torneo, l’amico Goran Dragic.

L’erede di Dirk – Universalmente riconosciuto come il più brillante fra i prospetti del Vecchio continente, il 21 aprile 2018 Doncic si dichiara eleggibile per il Draft Nba. Nonostante il curriculum, tuttavia, Oltreoceano i detrattori non mancano. A cominciare dall’Hall of Famer Charles Barkley: “Il fatto che a 18 anni sia già un Mvp è la chiara spiegazione di come stia giocando in una competizione di merda. Non lo sceglierei assolutamente con le prime due chiamate”. Difatti Luka scivola alla terza pick del Draft, quando Dallas imbastisce uno scambio con Atlanta pur di non lasciarselo sfuggire. Curioso come nell’anno che anticipa l’addio al basket di Dirk Nowitzki, ala grande tedesca da 20 anni volto della franchigia texana, la società di Mark Cuban abbia deciso di affidare le proprie sorti a un altro talento europeo. Difficile dire se Doncic saprà eguagliare i successi di Wunder Dirk, settimo nella classifica all time dei marcatori Nba e assoluto protagonista dell’unico titolo della storia dei Mavs, ma la scommessa sembra oggi sorridere a coach Rick Carlisle.

Già matricola dell’anno? – Nonostante il titolo di Rookie of the Year già prenotato, tuttavia, Luka è ancora un giocatore con evidenti difetti. Una certa pigrizia difensiva e un’esplosività appena sufficiente, infatti, lo rendono vulnerabile nella sua metà campo. E i suoi movimenti offensivi quando non porta palla sono ridotti all’osso. Questi dubbi però non sembrano condivisi da chi ogni sera deve giocarci contro, pagando puntualmente dazio: “Forse qualcuno pensava che avesse dei limiti. Io personalmente non ne vedo, sfortunatamente per noi”. Parole di Dave Joerger, allenatore dei Sacramento Kings. Che avrebbero potuto sceglierlo, ma preferirono altro. Peccato per loro.

Twitter: @Ocram_Palomo