Il cronista lavorava al settimanale dagli anni Ottanta. Il ricordo del direttore Damilano e dei vice Abbate e Gilioli: "Era un uomo di sinistra che non aveva avuto paura di scrivere un libro sulle incrostazioni dei sindacati. Un uomo di legalità che aveva scritto un best seller sulla casta dei magistrati"
È morto a Roma all’età di 60 anni (li avrebbe compiuti il 26 dicembre) il giornalista dell’Espresso Stefano Livadiotti. L’annuncio è arrivato attraverso un ritratto pubblicato sulla versione online del settimanale e firmato dal direttore Marco Damilano e dai vice Lirio Abbate e Alessandro Gilioli (tutti cresciuti professionalmente con Livadiotti. Nato a Roma il 26 dicembre 1958, Livadiotti lavorava all’Espresso dagli anni Ottanta, firmato centinaia di inchieste, ritratti e analisi economiche.
“Era un uomo elegante, spiritoso, corrosivo” ricordano i tre giornalisti nel loro articolo. “Del nostro giornale condivideva il dna, le virtù e i vizi, la passione per la verità, la scrittura acuminata, il gusto di rompere le scatole al potente di turno”. “Non aveva mai paura di scrivere quello che pensava o che scopriva – continuano – e non aveva paura dei potenti così come non aveva avuto paura nemmeno della malattia. Era così: sfrontato, indomito, senza inchini, né timidezze, né prudenze. Indifferente alle conseguenze che poteva avere su di lui quello che aveva scoperto e scritto, perché scoprire e scrivere dava il senso alla sua vita più di qualsiasi encomio o vantaggio personale”. “Era un uomo di sinistra – concludono – che non aveva avuto paura di scrivere un libro sulle incrostazioni dei sindacati. Un uomo di legalità che aveva scritto un best seller sulla casta dei magistrati. Un giornalista verticale, un uomo verticale”.
Oltre al lavoro per L’Espresso, Livadiotti era diventato noto anche grazie a diversi libri in cui aveva fatto emergere i vizi e i problemi di alcune “caste”: L’altra casta. L’inchiesta sul sindacato, Magistrati. L’ultracasta e I senza Dio. L’inchiesta sul Vaticano.