“Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”. L’importante è non passarlo soli come cani, il Natale. Eppure, in un’ipotetica programmazione alternativa ai soliti mielosi film natalizi, ovviamente con l’augurio di guardarli in compagnia, un excursus intorno a storie di cani non sarebbe poi così male. Quando al cinema si dice “un cane” è sempre brutto segno. Ribaltiamo per un po’ questo paradigma, rivolgendo l’attenzione a tre titoli estremamente positivi della scorsa stagione, editi ora anche in home video, che hanno segnato, coinvolto, spiazzato e appassionato pubblico e critica. Al centro di ognuno di essi i cani. Come protagonisti parlanti ed esuli, come oggetti d’amore e attenzioni, o malaugurati combattenti curati da un sottomesso protagonista.
Alla Berlinale ha incassato l’Orso d’Argento per la miglior regia Wes Anderson. Tornato all’animazione in stop-motion con il suo Isle of Dogs, il regista texano più insospettabile di sempre ha sfornato una storia con protagonisti arruffati e salacemente improbabili, esiliati da un futuristico Giappone cinofobo. Tra fantasy, distopia e commedia agrodolce di eroi a quattro zampe intorno al ragazzino Atari si sviluppa uno dei film più pirotecnici dell’anno. Quando un padroncino è determinato a ritrovare il suo amico peloso, che sia in un altro quartiere o su un’isola dove vengono confinati tutti i cani della città, la determinazione e la caparbietà si fanno avventura.
Dai contenuti speciali dell’edizione Blu-Ray ci viene dato l’accesso al dietro le quinte di un lavoro mastodontico. Nove cani veri utilizzati come modelli per i movimenti, oltre 800 burattini per creare i vari personaggi, 27 animatori e 240 set per muovere e fotografare i protagonisti animati in computer grafica. Lo spazio concesso al lato tecnico è molto, ma non è proprio lo stesso per il cast ricco di voci che hanno dato parola e anima ai cani. Tra questi Bryan Cranston, Bill Murray, Tilda Swinton, Edward Norton, Scarlett Johansson e Jeff Goldblum.
Anche l’Italia ha i suoi cani. Artisticamente in positivo, ma in Dogman la questione si fa dolente per il tema affrontato. Marcello Fonte impersona un toelettatore di cani innamorato della vita, dei quadrupedi e della sua bambina. Li chiama “amore”, ché dopo il premio come Miglior attore a Cannes, e recentemente anche agli European Film Awards, il suo richiamo è diventato un piccolo tormentone per cinefili. La storia grigia del suo dolce canaro è ambientata in una periferia ai confini di qualsiasi cosa e affonda le sue radici dolorose in un fatto di cronaca nera. Negli extra della versione su disco c’è molto materiale interessante dopo il film. Intanto tre scene tagliate, accompagnate anche da una cinquantina di tavole di storyboard, una decina di bozzetti e concept, e poi tre scene in prova d’attori, trucco e parrucco. I pochi step e tante limature tra il protagonista e il bullo col grugno e la forza di Edoardo Pesce lasciano intuire il percorso laborioso per la costruzione dei personaggi. Anzi, la decostruzione, viste le evidenti asciugature apportate da Matteo Garrone. Piccola chicca, un estratto di un quarto d’ora dal documentario Sembravano applausi di Maria Tilli: Marcello e i grappini sul set per arrotondare la performance, le botte sul set finte e vere con ghiaccio, i cani attori addestrati da Massimo Perla, e la ricerca della verità sui personaggi con la spronata di Garrone a Fonte e Pesce.
Nato casualmente in contemporanea con Dogman, Rabbia furiosa è uscito in sala due settimane dopo, come un cenerentolo spietato che per padre ha Sergio Stivaletti, e per oscuri fratellastri i protagonisti Riccardo De Filippis e Virgilio Olivari. Più cruento, meno sognante e molto più legato a una Roma urbana e silente masticatrice d’anime, il film non ha ancora una data d’uscita home video, comunque preceduta dalla pubblicazione del soundtrack firmato Maurizio Abeni. Le chitarre del compositore, a volte come uno stornello malinconico, altre come un rintocco western, con arpeggi speranzosi o accompagnate da un fischio solitario, riportano le atmosfere decadenti di una storia nata come scontro tra personalità. In Viaggio dalla periferia al centro la composizione orchestrale viene punta da un inserimento elettrico. Poi il rock ha la meglio anche su atmosfere più thrilleriche. Si riassaporano sound vicini ai Goblin.
Un uomo, il canaro, intanto si piega a schiavo, e da amante dei cani che cura ne diventa spettatore impotente alla morte per combattimenti clandestini. L’altro, invece, il bullo, spadroneggia sulla sua vita e la sua famiglia in nome di un’amicizia sporca. Fabio il canaro allora si fa sempre più simile ai suoi quadrupedi nella sottomissione più ineluttabile. Il solo modo di evadere dall’imbuto imposto da suo boss di quartiere è la furia, lo sfogo sanguinario che Stivaletti ha ripreso fedelmente dal rapporto delle forze dell’ordine sull’omicidio del canaro della Magliana. Nessuna edulcorazione narrativa, solo trucco, rabbia ed effetti speciali in un finale gore. È il film italiano più scioccante del 2018. Eppure le musiche di Abeni, a partire da Una vita ai margini, costituiscono le note più profonde e dolorose di questa storia lavata col sangue, ma molto più psicologica di quel che annuncia.