Alcune catene di supermercati stanno sperimentando approcci alternativi alle comuni procedure d’acquisto che potrebbero contribuire a una condivisione più equa del valore di filiera verso chi produce il cibo. Dal 2019 Auchan attiva la blockchain su una filiera di carne e una di ortofrutta partendo dall'Italia, mentre il ministero propone un patto per fermare le aste al doppio ribasso nella grande distribuzione
Non solo competizione esasperata tra supermercati, pratiche sleali e guerra all’ultimo prezzo, con conseguenze devastanti sull’anello più debole della filiera alimentare. Negli ultimi anni in Italia e all’estero sono state messe in campo diverse iniziative per una maggiore eticità delle filiere. Alcune catene di supermercati stanno sperimentando approcci alternativi alle comuni procedure d’acquisto che potrebbero contribuire a una condivisione più equa del valore di filiera verso chi produce il cibo. È il caso di Marqt, supermercato olandese che applica il principio dell’astensione dagli acquisti su larga scala. In Italia, invece, Conad ed Esselunga hanno firmato un protocollo con il ministero delle Politiche Agricole per favorire la trasparenza, l’equità e il rispetto dei diritti dei lavoratori, a partire dal contrasto al caporalato e allo sfruttamento in agricoltura. E poi ci sono esperienze di nicchia, che potrebbero essere prese come modello.
GLI APPROCCI ALTERNATIVI DI ALCUNE CATENE – Il supermercato olandese Marqt, come ricorda Oxfam nel rapporto ‘Maturi per il cambiamento’, promuove nella propria filiera l’acquisto a un prezzo ‘equo’ di alimenti prodotti localmente. In base a un accordo con i propri azionisti, a questi ultimi vengono corrisposti solo in parte (il 25%) i prodotti superiori al 3% del volume d’affari, mentre il restante 75% viene reinvestito nell’azienda per dare supporto ai lavoratori e assicurare prezzi non troppo alti ai consumatori. Anche nei Paesi a medio reddito alcune imprese stanno sperimentando approcci alternativi. Ne è un esempio Lemon Farm, supermercato tailandese di medie dimensioni “che opera a sostegno dei piccoli agricoltori e dei pescatori e modifica le proprie condizioni commerciali per essere più flessibile e adattabile”. La catena statunitense di negozi al dettaglio Walmart, invece, si è impegnata ad aumentare la percentuale dei propri approvvigionamenti da produttrici donne: con la sua Global Women’s Economic Empowerment Initiative, l’azienda si è schierata contro le disuguaglianze di genere e contro l’eccessivo carico di lavoro non retribuito che grava sulle donne nelle attività di cura e assistenza familiare.
LE RIFORME NEL REGNO UNITO – Emblematico è ciò che è accaduto nel Regno Unito nel settore caseario. Temendo che gli allevatori non potessero più sostenere la pressione della Grande distribuzione organizzata per ottenere prezzi del latte sempre più bassi, alcuni supermercati hanno rivisto le loro politiche. Marks & Spencer ha avviato già da tempo l’iniziativa ‘Milk Pledge Plus’, con la quale 40 caseifici forniscono latte di provenienza regionale ai supermercati della catena, che paga gli allevatori in base ai costi di produzione e al rispetto di determinati standard inerenti i risultati dell’azienda, la produzione agricola e la salute e il benessere degli animali. Anche Tesco ha iniziato a puntare sulla sostenibilità del suo latte, dichiarando di pagare ai suoi fornitori uno dei prezzi più alti all’interno del settore industriale inglese. Nel 2007 è stato fondato il Tesco Sustainable Dairy Group che, nell’arco di dieci anni, ha pagato i suoi 720 allevatori una cifra vicina ai 270 milioni di sterline in più rispetto ai loro costi di produzione. Il Sainsbury’s Dairy Development Group attua invece un modello in base al quale gli allevatori sono membri a pieno titolo del gruppo e votano alla pari nelle decisioni riguardanti il prezzo del latte. Fattori che hanno determinato per loro un aumento significativo del reddito. Sempre Tesco, nel 2013 si è impegnata ad acquistare banane a un prezzo almeno pari al prezzo minimo garantito (indipendente dalle fluttuazioni di mercato) e nel novembre 2014 è stato il primo dettagliante ad annunciare che entro il 2017 avrebbe pagato un salario dignitoso ai lavoratori del settore nei suoi principali punti di approvvigionamento. Anche Sainsbury’s ha dichiarato il proprio impegno alla certificazione Fairtrade per le banane sfuse, destinando ai coltivatori un bonus che va dall’8 al 10%.
LA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN – E proprio Walmart, così come Carrefour, hanno adottato la tecnologia della blockchain su alcune filiere dell’ortofrutta per tracciarle per intero. La blockchain, infatti, è un database digitale sicuro e non falsificabile nel quale i suoi utenti possono inviare informazioni. Nel settore dell’agroalimentare produttori, trasformatori e distributori possono fornire informazioni di tracciabilità relative al loro ruolo e a ciascun lotto: date, luoghi, canali di distribuzione, eventuali trattamenti. Walmart adotta un sistema di monitoraggio che traccia il percorso delle verdure dalla fattoria al negozio e lo farà presto anche la catena statunitense del cibo biologico Sweetgreen. Di recente, invece, la catena di supermercati francese Carrefour ha annunciato che sta implementando una piattaforma blockchain anche nel suo network spagnolo per tenere traccia dei polli allevati all’aperto del marchio ‘Calidad y Origen’, cresciuti senza trattamento antibiotico nella regione settentrionale della Galizia. Dopo un esperimento condotto nel 2017 in Vietnam con Te-Food, Auchan Retailretailer ha annunciato lo sviluppo della blockchain a livello internazionale. E si partirà nei primi sei mesi del 2019 proprio dall’Italia, con l’attivazione su una filiera di carne e una di ortofrutta, insieme a Francia, Spagna, Portogallo e Senegal.
IL PATTO CON IL MINISTERO – Capitolo a parte è quello della guerra alle aste al doppio ribasso. Il 28 giugno 2017 è stato condiviso un patto d’impegno da Conad e Federdistribuzione e promosso dal ministero delle Politiche agricole contro caporalato e sfruttamento in agricoltura. Il protocollo, frutto della pressione esercitata dalla campagna #ASTEnetevi promossa da Terra!, Flai-Cgil, da Sud e dalla campagna #FilieraSporca, impegna le organizzazioni della Gdo firmatarie a non fare più ricorso alle aste elettroniche inverse al doppio ribasso per l’acquisto di prodotti agricoli e agroalimentari. All’appello dei promotori della campagna che invitavano “altri attori come Coop, Eurospin e Lidl” ad aderire alla campagna, Coop ha subito replicato chiarendo che la catena non ha “mai usato le aste al doppio ribasso”. Un anno dopo, ad agosto 2018, Eurospin è finita al centro di un’inchiesta de l’Internazionale proprio per un’asta al doppio ribasso con cui l’azienda si è assicurata un’importante partita di passata di pomodoro: 20 milioni di bottiglie da 700 grammi a un prezzo unitario di 31,5 centesimi di euro. Qualche giorno dopo la pubblicazione dell’inchiesta, Esselunga e Conad hanno chiarito la loro posizione a riguardo. La prima catena ha ricordato di non aver mai “fatto ricorso alla pratica delle aste elettroniche per l’acquisto di prodotti agricoli e agroalimentari”, proprio in linea con i principi del protocollo che la stessa Esselunga ha sottoscritto, a settembre 2017. Sulla questione è intervenuta anche Conad esprimendo più volte “la sua contrarietà” alle aste a doppio ribasso, alle quali non partecipa.
LA CAMPAGNA ‘BUONI E GIUSTI’ – Sempre Coop ha promosso poi la campagna “Buoni e Giusti”, un processo di sensibilizzazione interno ed esterno, verso fornitori e consumatori. Nel settore dell’ortofrutta, in particolare, il progetto promuove l’eticità delle filiere a rischio, tutte le filiere critiche, attraverso un codice etico che coinvolge tutti i produttori, nazionali e locali, anche dei trasformati (derivati del pomodoro, vino, olio) e verifiche autonome effettuate presso le aziende agricole. Tutti i fornitori della linea Origine, che si occupa di frutta e verdura ma anche di carni e latticini, sono controllati in termini di qualità del lavoro e del processo produttivo, garantendo un prezzo giusto anche per le fasce più deboli. Estensione del codice a tutti i soggetti delle filiere, controlli autonomi e indipendenti sulle condizioni lavorative nei campi, con l’esclusione da sempre delle aste al ribasso e con il riconoscimento di un prezzo equo ai produttori (anche quando il mercato è più basso) sono tasselli di questo processo.
DA TOMATO REVOLUTION A FUNKY TOMATO – Poi ci sono le esperienze che nascondo al di fuori del circuito della grande distribuzione, ma che potrebbero essere replicate. Un esempio è il progetto ‘Tomato Revolution’ di Altromercato, la principale realtà italiana di commercio equo e solidale. Cinque le varietà di pomodoro coltivate su terreni liberi dalle mafie o a rischio di spopolamento e sfruttamento tra Puglia e Sicilia, una trentina i produttori coinvolti con lavoratori assunti regolarmente e pagati con un prezzo equo. Un altro progetto, nato in Campania, è stato presentato di recente: i pomodori coltivati in quei terreni che un tempo erano proprietà della Camorra, a Scampia, vengono trasformati in barattoli ‘Funky Tomato’. Dietro c’è una rete che da anni si batte contro il caporalato e per una filiera controllata, assicurandosi che gli agricoltori vengano remunerati in modo equo. Tutto è nato, infatti, dalla collaborazione tra Funky Tomato Project, Cooperativa (R)esistenza e l’azienda pugliese produttrice di pomodori La Fiammante. La sede logistica e distributiva è stata istituita a Scampia, lì dove un tempo c’erano le piazze di spaccio della droga e i pomodori sono vengono coltivati nel primo fondo agricolo confiscato nel 2011 alla camorra, il Fondo Rustico “Amato Lamberti”, a Chiaiano.