Sempre più pesos messicani si convertono in euro attraverso un canale privilegiato, il mercato spagnolo. Il Messico non è più il Paese di un tempo, attendista in economia, più propenso a riporre fiducia negli investimenti stranieri che a stimolare l’imprenditoria interna. Non è più il Paese con unico motore propulsivo incentrato sugli idrocarburi, raffinati dal colosso statale Pemex. Molto è cambiato nell’ultimo decennio. I pesos hanno preso la strada dell’Europa, un deciso programma di export e di investimenti ha fatto del Messico il primo Paese sudamericano nell’economia spagnola, superando di gran lunga il Brasile. Gli utili raggiunti dalle imprese messicane presenti in Spagna raggiungono numeri importanti, quasi 20 miliardi di euro, pari all’intero Pil generato nella regione Navarra o in Extremadura.

Solitamente i flussi commerciali tra la penisola iberica e i Paesi sudamericani si spiegano con una formula semplice: la Spagna è la “porta naturale” verso l’Europa. Affinità linguistiche e culturali favorirebbero un primo approccio con un continente competitivo come quello europeo. Una sorta di approdo sicuro utilizzato per pianificare poi sfide difficili verso sbocchi più ambiziosi. Non tutto può però essere spiegato col richiamo alla somiglianza filologica: c’è dell’altro. A muovere i capitali messicani è innanzitutto la stabilità politica iberica, la sua solidità economica, i bassi tassi praticati nell’eurozona, certe attitudini sociali che portano gli spagnoli a stare fuori casa. Non è un caso che gli investimenti si concentrino principalmente nella ristorazione e nel settore alberghiero. Non solo un avamposto, quindi: le statistiche dicono che la penisola iberica non è solo come una porta d’ingresso, ma il luogo ideale per rimanere e fare impresa. L’80% delle società – dopo un breve periodo di adattamento – si stabilizza fissando in Spagna la sede d’affari.

I pesos sono entrati nei settori chiave dell’economia spagnola, nell’offerta turistica si diceva, ma anche in marchi iconici dell’agroalimentare quali gli insaccati di Campofrío o i sandwich di Panrico (Gruppo Bimbo). O ancora nei Vips, storica catena di locali aperti fino a tarda notte per unire commercio e ristorazione, nei cantieri navali Barreras di Vigo, i più grandi del Paese, con quote detenute al 51% dalla compagnia Pemex. I pesos sono anche nel campo dell’editoria, nel potente gruppo Prisa, la casa che pubblica El País, il primo quotidiano globale in spagnolo, e Huffington Post.

Non pochi analisti ritengono che la carica populista internazionale abbia un’incidenza diretta nella crescente attenzione dei messicani verso il mercato spagnolo. Le aspre politiche antimessicane di Donald Trump, malgrado il recente trattato commerciale T-Mec, hanno raffreddato il consolidato legame tra Paesi che condividono una linea di confine di oltre 3mila chilometri e favorito progetti di espansione più ampi. Un altro fattore potrebbe essere interno: la classe imprenditoriale guarda con sospetto il neo presidente Andrés Manuel López Obrador. Il leader progressista inquieta i sonni dei milionari messicani con un programma di politiche espansionistiche volto a limitare la povertà che attanaglia, come in una morsa, decine di milioni di cittadini.

La Spagna, da parte sua, non sta a guardare. Sono 13mila le aziende che esportano regolarmente in Messico e più di 6mila le piccole e medie imprese con operatività diretta nel grande Paese dell’America centrale. Il re di Spagna Felipe VI, pochi giorni fa, partecipava a Città del Messico all’investitura del presidente Obrador, l’occasione giusta per rinsaldare vecchi legami e crearne di nuovi. La monarchia spagnola in un recente passato ha fatto sentire il suo peso in operazioni commerciali realizzate nel settore ferroviario, tutte a vantaggio delle imprese spagnole. Successe con l’Uzbekistan quando i buoni offici del re Juan Carlos ebbero un ruolo nella vendita del treno Talgo al paese eurasiatico; si è ripetuto con la monarchia saudita e il succulento contratto firmato per la costruzione dell’alta velocità nella tratta Medina-La Mecca o per la linea metropolitana a Riad.

Ora la Spagna guarda con interesse al progetto Tren Maya, 1500 chilometri di linea ferrata da costruire in quattro anni tra i principali centri archeologici di origine maya: Chiapas, Campeche, Quintana Roo e Yucatan, il quadrilatero d’oro che attrae milioni di stranieri e fa del Messico il sesto Paese nel ranking mondiale del turismo.

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