“Il potere non ama chi lo contesta”. Con queste tonanti parole Mario Calabresi ha chiuso la giornata dedicata alla libertà di stampa, organizzata da quella Repubblica che, quasi fosse Radio Rebelde, si erge oggi a baluardo del libero pensiero. Battaglia sacrosanta. Non riesco tuttavia a rammentare un eguale clangore delle loro penne quando, Pd regnante, venivano congedati personaggi quali Milena Gabanelli (che da sola valeva il canone), Giovanni Floris, Bianca Berlinguer. Nemmeno ritrovo articoli di solidarietà espressi dal quotidiano di Eugenio Scalfari al Fatto Quotidiano irretito ex lege nella diatriba col padre di Matteo Renzi. Dove poi fossero questi neo libertadores quando l’Unità veniva chiusa e i giornalisti messi alla porta, non è dato saperlo. Forse che “tutti (i giornalisti) sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri?”.

Questa campagna serve più prosaicamente a dare fiato a un modello giornalistico ormai sulle gambe e bisognoso di un avversario che, come ai tempi di Silvio Berlusconi, ne aumenti la tiratura. Se davvero stesse soffiando un vento turco, Fabio Fazio non potrebbe serenamente ribattere a Luigi Di Maio che solleva la questione delle sue elevate prebende. Il Pd, stupito dello stupore dei contribuenti per contratti così onerosi (una dissintonia dal mondo che ne spiega il declino), grida che il vicepremier “vuole reprimere qualsiasi voce che non sia in linea con il governo”. Siamo davvero alla mordacchia ai giornalisti e intellettuali ritenuti scomodi?

Non sembra credibile, anche perché, a detta di molti, le interviste di Fazio non sono esattamente l’essenza di quella ficcante e indomabile “libertà” di parola, ora insidiata da un potere nordcoreano. Più realistico pensare all’azione studiata di un partito in declino, bisognoso di rifarsi una verginità anti-establishment, difensore interessato di un “giornalismo controcorrente” che in realtà non ha mai avuto alcun tratto davvero irriverente verso il potere (come dimenticare l’intervista con Maradona, al quale non venne impedito di fare l’ombrello al fisco italiano?). Tuttavia, per quanto non sia esattamente Bob Woodward, Fazio va assolutamente difeso da eventuali pulsioni epurative. Semplicemente per tanti italiani il suo compenso, e quello di tante altre star televisive, è un boccone indigesto.

Ancora, se davvero George Orwell fosse alle porte, come potrebbe Massimo Recalcati parlare ancora dagli schermi di Rai3 con la replica del suo programma, annunciato per 2019 dal neo riconfermato direttore Stefano Coletta? Se davvero si fosse insediato un neo Minculpop, lui sarebbe stato di certo una delle prime vittime. Con la sua performance dalle luci della Leopolda non passò tanto alla storia patria per aver pronunciato uno dei discorsi politici più profondi dell’ultimo decennio, quanto per la quantità di epiteti clinici duri rivolti verso gli avversarsi di Telemaco (epiteti quasi scomparsi dopo il 4 marzo). Attraverso l’uso delimitante del linguaggio (noi vs loro), descriveva dal palco un cupo mondo popolato da individui colmi di odio che ce l’avrebbero avuta irragionevolmente a morte con il fu premier. Gli avversari interni vennero bollati come mummie intrise di godimento masochista, gli elettori 5stelle appresero che “il mito che sostiene i seguaci di Grillo è di natura incestuosa”(!). La malattia, elemento di cura dell’analista, diveniva strumento di battaglia politica, inaugurando la breve e infelice stagione della patologizzazzione del dissenso.

Oggi, a Leopolda e scuola Ppp crollate, sappiamo che non era vero nulla. Se Di Maio fosse davvero il vicepremier di un governo che contempla una forza affetta da bipolarismo, darebbe forma all’onnipotenza maniacale azzerando le voci nemiche. Se fosse un tantino permaloso, difficilmente con lui al governo rivedremo in tv colui che ne stigmatizzò le “evidenti difficoltà di ragionamento e lessicali”. Su questo uso del lessico analitico a fini politici nacque una polemica vivace e fiorente, anche sul Fatto Quotidiano.

Scrissi su Micromega un articolo che ebbe una larghissima diffusione. Colleghi, giornalisti, lettori animati da quella passione propria di chi serve la parola libera lo commentarono a viso aperto, condividendolo o criticandolo duramente (“Avrà la giusta punizione legale”, mi ha intimato su Facebook un collega iscritto all’Ordine professionale, cosa di cui mi occuperò a breve). Venne discusso ovunque, tranne che sul diario Facebook del diretto interessato, dal quale scomparve. Benvenuti dunque in tv tutti quelli che sono stati critici verso chi oggi comanda, garanzia di reale libertà di espressione. Altro che bannare o censurare! Non so quanto questa replica di programma costerà alle tasche degli italiani, ma la libertà non ha prezzo. Anche se sborsato da quelle famiglie abbonate Rai che, forse senza saperlo, hanno votato per quel polo grillino affetto da una patologia bipolare. Soprattutto se sborsato da loro.

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