“Non ho paura dei buoni sentimenti, delle emozioni: volevo che questo film fosse pervaso di benevolenza e non in modo filtrato che spesso si accompagna a una certa condiscendenza nei confronti dei personaggi”. Quando un regista sa indicare con tale precisione il “carattere” del proprio cinema si può solo gioire. Pregi e difetti di Nelle tue mani sono infatti tutti racchiusi in questa dichiarazione d’intenti esplicitata da Ludovic Bernard, che appunto ne firma regia e sceneggiatura. Romanzo di formazione a sfondo pianistico, il secondo film del cineasta cannense è una vera e propria sfida natalizia ai ricchi, befane e moschettieri che ne accompagnano l’uscita il 27 dicembre, ma a chi lo andrà a vedere lascerà il classico sapore del più edificante dei messaggi, “mai arrendersi e smettere di sognare in grande”.
È su questo, difatti, che il post adolescente Mathieu è chiamato a confrontarsi: prodigio assoluto al pianoforte nonostante provenga dai disagi della banlieu parigina, il ragazzo si è nutrito del suono del nobile strumento dal momento che un anziano maestro si offrì di insegnargli i rudimenti quando era piccolo. Un incontro fondamentale e fondativo che ne estrasse il talento alla tastiera nonostante il resto del suo universo gli remasse contro. Morto l’anziano insegnante, toccherà a un altro “virgilio” – il direttore del conservatorio di Parigi interpretato da Lambert Wilson– di prendersene cura, dopo un casuale incontro alla Gare du Nord dove Mathieu si esibisce al pianoforte messo a disposizione del pubblico. Ma il giovane è ribelle, facilmente condizionabile dagli amici che lo sfottono, rubacchia per tirare a campare con una madre single e fratellini da accudire. Cosa sarà di lui? Il suo destino è, appunto, nelle sue mani.
La storia, si diceva, calza al Bildungsromancon una perfezione imbarazzante, di certo esagerata nella sua parabola da manuale simil-dickensiano ma – come da dichiarazione iniziale – è proprio quanto l’autore del film desiderava realizzare. Inutile dunque cercare in questo film di buoni sentimenti quel realismo (a sfondo soprattutto sociale…) che esige la credibilità di ogni dettaglio: l’unico elemento a farsi trovare è la fede in ciò che si vede e si “ascolta” soprattutto, farsi trascinare incantati da un immenso pianista ancora troppo immaturo come uomo per essere perfetto. Il trittico d’attori non poteva essere migliore, specie il giovanissimo Jules Benchetritla cui sicurezza e sensibilità nei panni di Mathieu è all’altezza delle performance di Wilson e della sempre magnetica Kristin Scott Thomas, “la contessa” incaricata ad insegnarli il metodo.