Mercoledì a Milano sono accaduti due fatti gravissimi. Fatti che infangano il gioco più bello del mondo. Per l’ennesima volta, durante una manifestazione sportiva (sport deriva dal francese desport, ovvero divertimento), è morto un uomo. Daniele Belardinelli, 39 anni, varesino, con due figli e una moglie. È stato investito da un Suv, non guidato da napoletani. Probabilmente un residente milanese in fuga dalla guerriglia creata dagli scontri tra le due tifoserie. Daniele, detto “Dede”, era uno dei capi del gruppo neofascista Blood and Honor, campione di scherma corta. Due Daspo in passato, nel 2007 e nel 2012, sempre per scontri in manifestazioni sportive. Due bambini resteranno senza papà.
La domanda che mi pongo è cosa ci facevano ultras del Varese durante la partita Inter-Napoli, cosa ci facevano ultras del Nizza, appartenenti ad un’altra nazione e campionato di calcio, fuori allo stadio? La verità è che gli stadi sono in mano ai fascisti, gli stadi sono in mano a gruppi criminali e si tace da troppo tempo. Il questore di Milano ha dichiarato che l’assalto è stato pianificato da 150 persone, non quattro cretini da bar, 150 persone. Sono stati trovati machete, roncole, martelli, spranghe. Al termine della gara non si legge più il tabellino, ma un bollettino di guerra. Un morto, un accoltellato, tre feriti. Tifosi interisti sanguinanti che non vanno in ospedale per non farsi riconoscere.
Centocinquanta persone hanno assaltato, perché di assalto si tratta, numerosi van di tifosi napoletani in attesa di pre-filtraggio per entrare allo stadio San Siro. Lancio di pietre, bombe carta. Tre tifoserie, quella interista, varesina e del Nizza, alleate e pronte a far guerriglia urbana. Dede è stato investito e sono stati i tifosi napoletani ad avvertire gli interisti. Sembra un film già visto qualche anno fa. Ciro Esposito, tifoso napoletano, va in trasferta a Roma per vedere la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina e viene ferito dallo sparo di un tifoso della Roma, dichiaratamente fascista, con numerosi Daspo, ma che gestiva un chioschetto fuori dallo Stadio Olimpico. Uno che andava in giro con una pistola.
Ci hanno fatto credere che bastava costruire stadi di proprietà, come in Inghilterra, per arginare la criminalità e invece, come dimostrano le recenti inchieste sulla ‘ndrangheta allo Juventus Stadium, non è bastato. Andrea Agnelli, presidente dell’Eca (European Club Association) e presidente della Juventus, che da sette anni detta legge nel campionato italiano, è stato l’unico presidente ad essere ascoltato dalla Commissione Antimafia del Parlamento Italiano. Non basterà la chiusura delle curve, non basterà il divieto di trasferta agli ultrà interisti. È poco, troppo poco. Troppo poco fa lo Stato, troppo poco fanno i presidenti dei club, i quali fanno finta di non vedere ciò che accade allo stadio, chi gestisce le curve.
L’altro fatto gravissimo sono stati i buu prolungati per 70 minuti nei confronti del senegalese Kalidou Kulibaly. Settanta minuti. Lasciamo perdere l’espulsione, si può discutere se era giallo o meno, ma questo è poco importante. Il giorno dopo Natale non 150 scalmanati, ma diverse decine di migliaia di cristiani e non hanno inveito contro “l’uomo nero”, ripetutamente. Buu razzisti per colpire chi ha la pelle diversa. Il giorno dopo Natale, il giorno dopo aver festeggiato la nascita di un bambino emigrante, in fuga da un eccidio, nato in una grotta, arabo, ebreo, palestinese. Nato in clandestinità. Queste diverse decine di migliaia di pseudo tifosi fanno più paura dei 150 avanzi di galera che lanciano pietre a van con donne, bambini e uomini in trasferta. Bisognava bloccare tutto e invece ancora una volta ci siamo arresi al “show must go on”, lo spettacolo deve continuare.
Abbiamo perso un’occasione. L’occasione di raccontare in mondovisione che un altro mondo è possibile. E invece a quei bambini a casa, a quei bambini allo stadio, abbiamo insegnato che il diverso, l’uomo nero, va allontanato. Dopo la partita ho sognato Asamoah, a proposito: come si sarà sentito il ghanese mentre in campo ascoltava i buu destinati a un avversario con il suo stesso colore di pelle? Ho sognato Asamoah, l’uomo che ha salvato la partita dell’Inter, osannato dai suoi tifosi, prendere il pallone in mano e mettere fine alla partita. Ne avrebbe parlato il mondo, ma resta un sogno.
Se è vero ciò che Carlo Ancelotti ha dichiarato a fine gara, ovvero che il Napoli per tre volte ha chiesto la sospensione della gara e l’arbitro Paolo Silvio Mazzoleni non l’ha fatto, ci troviamo di fronte all’ennesimo gesto di codardia, di paura a bloccare spettacoli sportivi. Marcello Nicchi, presidente dell’Aia, ha difeso incredibilmente Mazzoleni. Il quale non ha fatto altro che far annunciare agli speaker dello stadio di smetterla con quei cori. Il dramma è che situazioni del genere saranno gestite dal Viminale, dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, il quale criticava Balotelli capitano della nazionale, un palermitano con pelle diversa dalla sua.
Nei salotti sportivi si silenzia quanto accaduto. Si silenziano i buu che a casa non vengono percepiti, perché coperti dalla telecronaca. Si silenziano le vicende ndranghetiste della Juventus, gli insulti juventini alla strage di Superga, e il diffuso, quotidiano, settimanale razzismo contro i napoletani. Aggrediti, insultati per il semplice fatto di essere napoletani. Si inneggia il Vesuvio anche quando non si gioca contro il Napoli. Oggi abbiamo paura di dire che c’è una caccia al napoletano in quanto tale. La tifoseria napoletana non è esente da infiltrazioni camorriste, mafiose, estremiste, di guerriglia urbana, il San Paolo è ancora un luogo dove non portare i bambini, le famiglie, dove gira droga, dove non ti puoi sedere dove vuoi, dove ti fai una canna anche se non vuoi.
Non basterà Koulibaly capitano del Napoli, non basteranno le maschere col volto di Kk, non basteranno i post di Kalidou, gli hashtag #jesuiskoulibaly. Ci vogliono uomini come l’arbitro Claudio Gavillucci, totalmente dimenticato dai più, che il 13 maggio scorso sospese Sampdoria-Napoli per cori razzisti. Si prese la briga di fermare lo spettacolo. È stato mandato a casa dell’Aia e tutt’ora è in causa contro quest’ultima. Gli vogliono uomini come Massimiliano Irrati, che sospese Lazio-Napoli. Ci vogliono calciatori più coraggiosi, presidenti meno codardi, arbitri che non hanno paura di identificare una parte di Milano come razzista.
L’ultimo pezzo di questo post lo voglio dedicare all’Inter che è parte lesa, una società nata oltre cent’anni fa col nome di Internazionale, i cui valori di accoglienza, integrazione, rispetto della diversità sono stati calpestati da un manipolo di teppisti. E per chiudere, come direbbe Pino Daniele: “Viva, viva ‘o Senegal”.