Società

Basta lottare contro la povertà. Combattiamo la ricchezza

Anno nuovo vita nuova. Un detto del tutto inconsistente se messo in relazione alle contraddizioni del Sahel, terreno di caccia per imprese umanitarie in cerca di bottino. Proprio come le grandi agenzie di riproduzione del sistema che hanno volgarizzato da anni il dogma samaritano della “lotta alla povertà”. Presentata come l’unica e definitiva battaglia che accomuna ricchi e poveri, è da vincere nei prossimi anni venturi. A questo titolo le Nazioni Unite, che si presentano nel sito come “il vostro mondo”, hanno da tempo fissato l’obiettivo numero uno. Dimezzare, tra il 1990 e il 2015, la proporzione della popolazione il cui reddito pro capite è inferiore a 1, 25 dollari al giorno. A questo apparentemente lodevole principio è invece corrisposta una crescita della ricchezza e delle disuguaglianze. Lo scarto tra i più ricchi e i più poveri, tanto al Nord come al Sud del mondo, è ormai un abisso. La lotta alla povertà si è trasformata in fretta fin dall’inizio in lotta contro i poveri.

Per esempio contro le migrazioni, vera e propria strategia di “distrazione di massa”. Operazione che mira a dirottare lo sguardo su migranti “irregolari” invece che sull’economia al servizio dei pochi ricchi. O allora contro i contadini a conduzione famigliare della terra. Oppure con la rapina delle risorse principali dell’arco saheliano che vanno dalla pesca della costa atlantica ai minerali dell’interno. Nel nostro contesto neppure il sostegno a dittatori e profittatori del popolo è innocente. Si tratta, in tutta neocoloniale semplicità, di garantire la perennità dello spogliamento di quanto possa ostacolare la libera espropriazione delle forme di resistenza all’occupazione. La guerra più pericolosa è senz’altro quella culturale la cui vittima principale è l’immaginario simbolico dei popoli del Sahel. La riduzione e la conseguente “assunzione” delle persone a vittime della povertà, in perenne bisogno di soccorso, è quanto di più nefasto possa accadere alla dignità umana.

Non bastasse le Nazioni Unite e la coorte umanitaria hanno riconfermato l’obiettivo citato, innalzando il minimo vitale a testa a 1,90 dollari. Statisticamente i poveri sono determinati e contabilizzati a 783 milioni. Dinnanzi a tale operazione, che durerà a tempo indeterminato, non resta che l’altra opzione che il Sahel ha già iniziato a proporre. Invece della lotta alla povertà dichiariamo che l’obiettivo per il prossimo decennio sia la lotta alla ricchezza. Una lotta impari, conseguente e simultanea, al Sud come al Nord, che possa con determinazione ridurre della metà la ricchezza della popolazione del mondo. Il decennio in questione, che verrebbe lanciato con una semplice cerimonia sotto l’albero del millennio, un baobab, non avrebbe bisogno di molti mezzi per affermarsi. Le prime unità di sensibilizzazione hanno da tempo cominciato a realizzare progetti dove più forte è il tasso di ricchezza. Malgrado le difficoltà e gli ostacoli incontrati nel percorso e sul posto il progetto avanza.

Ridurre la ricchezza non solo è possibile ma anche urgente. Per salvare il pianeta dagli interminabili e inutili incontri sul clima, sugli aggiustamenti strutturali e sul commercio mondiale. Con altre parole e con lo stesso contenuto, ancora recentemente e tra gli altri, papa Francesco è tornato sull’idea. Ha prima denunciato il banchettare di pochi davanti alla mancanza di pane dei molti altri. Ha infine opposto “l’avidità e l’insaziabile voracità di coloro che ammassano cose per dare senso alla vita” alla capacità di condividere il poco che si ha. Non casualmente è arrivato dalla “fine del mondo”. È lo stesso progetto che, con altre parole il Sahel ha fatto suo. Qui si vive di poco e il poco condiviso diventa ricchezza per tanti. La ricchezza per pochi è un furto mondiale da condannare. A questo titolo il decennio di riduzione della ricchezza si presenta come l’unica opzione umanitaria che valga la pena di perseguire con coerenza. Ovviamente le agenzie onusiane e umanitarie saranno chiamate ad operare con fermezza perché la ricchezza nel mondo finalmente diminuisca.